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Avvisi

CARATTERI SPECIFICI DELL’ARCHITETTURA ROMANA TRA LE DUE GUERRE

di Giuseppe Strappa

in: “Roma 1918-1943”,

catalogo a cura di F. Benzi, G. Mercurio, L.Prisco della mostra tenuta a Roma, Chiostro del Bramante, 29 aprile – 12 luglio 1998, Roma 1988

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 Ricostruzione virtuale delle Poste di via Marmorata di Libera e De Renzi (studenti del Politecnico di Bari, docente Matteo Ieva)

Forse è la distanza che, aumentando, comincia a trasformare le vicende in storia e gli edifici in monumenti, o forse è la patina della memoria che, lentamente, lega le immagini tra loro. E’ un fatto, comunque, che la produzione italiana tra le due guerre (architettonica, artistica, industriale), e segnatamente quella dell’ultimo decennio, sembra, ai nostri occhi, essere partecipe di una stessa koinè figurativa pervasa dall’attenzione alla leggibilità delle cose (alla qualità del disegno, come si usa dire), che raccoglie e fa confluire in uno stesso luogo immagini apparentemente inconciliabili: il Palazzo della Civiltà Italiana all’EUR, le locomotive delle littorine, i mosaici di Depero, gli apparecchi Irradio, i motori Isotta Fraschini. Un luogo dove nuovi edifici di calcestruzzo armato e marmo si liberano dalle incrostazioni degli stili storici e l’innocenza originaria delle macchine non sembra ancora messa in crisi, illuminate come sono dai riflessi abbaglianti dell’alluminio, dai lampi dell’acciaio levigato esibito dai prototipi degli aerei sperimentali, celebrati nelle aereopitture dei Tato, Prampolini, Thayath, Crali, Monachesi, Ambrosi.
Un mondo composito e contraddittorio, territorio di opposte concezioni della modernità, riemerge unificato dalla capacità di produrre un comune pathos. Il quale, tuttavia, non deriva da una pur celebrata fusione delle arti ma, almeno per quanto riguarda l’architettura, dal suo esatto contrario: dalla cosciente, gelosa, aristocratica difesa dei ruoli, della specificità dei metodi e delle lingue. L’architetto moderno sa bene, ancora, che le arti figurative commentano, imitano o criticano la realtà, mentre l’architettura è la realtà. Il che non solo non ha impedito una lunga consuetudine intellettuale ed umana tra architetti e artisti, ma ha finito per favorire, nella chiara diversità delle discipline e dei compiti, l’integrazione delle opere, come testimonia la straordinaria vicenda della pittura murale. L’architettura raggelata, retoricamente impeccabile nella sapiente obbedienza alle regole, dei grandi edifici pubblici, che evoca direttamente atmosfere metafisiche, è il prodotto di architetti-costruttori che non hanno mai dichiarato la propria appartenenza alla poetica metafisica e che, al contrario, spiegavano con ben diversi argomenti il carattere delle loro opere; i contatti, quantitativamente limitati, tra futurismo e architettura, non hanno mai dato esito a vere costruzioni futuriste e l’eccezione di alcuni lavori di Angiolo Mazzoni dimostra tutta l’artificiosa ambiguità del rapporto.
Le ricerche comuni producono, piuttosto, realizzazioni effimere presentate nelle mostre, come la Sala d’Icaro, lo straordinario allestimento di Giuseppe Pagano per la Mostra dell’Aereonautica allestita a Milano nel 1934, dove lo spazio si avvita in un vortice che evoca, senza citarla, l’immagine dinamica della macchina. Si potrebbero anche elencare le tante architetture temporanee disegnate da artisti, come il Padiglione italiano all’Esposizione Universale di Chicago del ‘32 e la Stazione aeroportuale per la Triennale di Milano del ‘33 di Prampolini.
E, tuttavia, la sintesi che lega un’opera di Del Debbio a un quadro di De Chirico avviene ad un livello meno esplicito, e per questo più profondo e fertile, della semplice fusione o della collaborazione diretta. Dove le nuove e differenti accezioni che della modernità danno gli architetti, si innestano su una comune tradizione progettuale, trasmessa dalla pervasiva presenza del disegno, dal cantiere, dalla didattica.
In realtà l’architettura italiana, pur nel perenne trasformarsi delle tecniche costruttive, del gusto, delle funzioni, continuava metodi derivati da una rinnovata nozione di organismo, rispetto alla quale innovazioni e tradizioni erano scelte critiche che non richiedevano la ridondanza del manifesto, perché comunicabili in termini non ambigui all’interno di uno stesso, comune codice.
Non c’è dubbio, infatti, che, in area romana soprattutto, dove ogni edificio del periodo sembra condividere misteriosi sottintesi con quelli circostanti, si consolidò una vera e propria lingua che veniva tradotta in linguaggio, che della parlata collettiva è uso personale e soggettivo , da un gruppo non folto ma attivissimo di architetti accomunato da un intenso scambio intellettuale e operativo.
Il fenomeno è evidente alla fine degli anni ‘20, con il declino del “barocchetto”, applicazione superficiale del repertorio barocco minore seicentesco e settecentesco, che finisce per separare definitivamente la leggibilità degli edifici dal dato costruttivo e tipologico: la logica della facciata si trasforma in ornamento, decorazione sovrapposta che non solo non occupa, come nelle molte rivisitazioni dell’antico, gli spazi vuoti della struttura primaria, ma diviene essa stessa struttura autonoma. Finendo per provocare un’inevitabile crisi di significato e propiziando la formazione di una lingua di nuovo comprensibile, recuperando i nessi, diretti o indiretti, tra forma degli edifici e dato tettonico.
Ma la lingua, forma abbreviata e convenzionale di comunicazione, è conseguenza e al tempo stesso origine dell’identità: la rafforza, la perimetra, crea recinti ed esclusioni. Per cui, anche attraverso le infinite ramificazioni dei linguaggi, la lingua della modernità romana è immediatamente riconoscibile come specifica di quella cultura architettonica che, consolidatasi negli anni ‘30, continua ad essere compresa almeno fino a tutti gli anni ‘50, prima che divenisse lingua morta nella Babele dei personalismi. Una lingua, per questo, distinguibile e distinta da quella impiegata da quella modernità nord europea alla quale è stata riconosciuta, da una storiografia di parte, valore di interpretazione autentica delle inedite istanze tecniche e sociali che i tempi nuovi avanzavano. Modernità alta, quest’ultima, ufficiale, della quale la produzione romana, come prostrata dall’aria indolente della città, non sarebbe che una declinazione minore, atona, impacciata, nel migliore dei casi provinciale. Lo stesso inquieto vitalismo della produzione più innovativa nord europea, peraltro, la flessibile indeterminatezza che acuisce ogni irregolarità e si compiace di ogni rottura, che tanto successo ha avuto da noi nelle volgarizzazioni del dopoguerra, non poteva non avere un potere di suggestione infinitamente maggiore della regola riconosciuta anche nella complessità della crisi, nell’ordine che si trasforma inseguendo nuovi principi. La quale produzione nord europea era anch’essa portatrice, a ben guardare, dei caratteri specifici di aree culturali di consolidato carattere elastico-ligneo, dove la consuetudine alle strutture leggere, seriali, puntiformi, portanti e non chiudenti di tradizione gotica permettevano, da sempre, di separare la struttura statico-costruttiva tanto dalla distribuzione (fino alle conseguenze estreme della pianta libera) che dalla leggibilità (fino alle conseguenze estreme della facciata libera) con l’innovazione radicale, tuttavia, dell’evocazione del mondo della macchina e della serie attraverso l’eliminazione dei nodi tettonici e della riconoscibilità dei caratteri dei materiali.
Ma il tempo sta restituendo una diversa dimensione e una maggiore proporzione alle cose. Si sta scoprendo che la cultura architettonica romana tra le due guerre è riuscita spesso, pur tra contraddizioni e fallimenti, a rappresentare, almeno, in modo singolare il proprio compito : la modernità come rinnovamento contro la modernità come progresso continuo, dove la freccia della storia sembrerebbe indicare una sola direzione.
Cultura romana che, non c’è dubbio, fu tutt’altro che partecipe dello spirito sincretista di molta produzione europea: ostinatamente faziosa, ha coscientemente rifiutato, in ragione della continuità con i processi operanti della propria storia edilizia, alcune delle istanze più divulgate del movimento moderno perché altre potessero assurgere a incontestabile evidenza.
Cominciando col non accettare i ruoli che l’età della macchina andava assegnando all’architetto: quello dello specialista che, nello spirito dell’età della macchina, imponeva una rigida divisione delle competenze in ogni settore produttivo secondo una logica tecnico-analitica che rivoluzionava il modo consolidato di concepire lo spazio come sintetico e unitario; quello, ancora tardoromantico, dell’artista condannato all’innovazione individuale, all’invenzione soggettiva, alla creatività riconoscibile (la rivoluzione continua e la rottura con la città consolidata come condizione della qualità architettonica) che ha contribuito all’abbandono e alla progressiva perdita del valore di lingua dell’architettura. Ruoli che, peraltro, corrispondono a quel più generale processo di specializzazione e frammentazione del sapere tecnico che ancora non aveva mostrato le proprie controverse conseguenze.
E continuando con l’ostinata riproposizione della nozione di “durata”, nei due sensi: storico, come individuazione di un processo di trasformazioni continuo, ereditato e trasmissibile; fisico, come resistenza al passaggio del tempo. Nozione coscientemente contrapposta al rapido consumo previsto per le costruzioni dell’età della macchina: in area romana ogni architettura sembra essere partecipe di un processo durevole e operante, che riassume le matrici formative della propria lingua. Per questa via, nonostante l’evidente affinità che le lega, ogni costruzione diviene originale, sembra continuare nel tempo (ripossedere, in qualche modo) la propria origine.
Per comprendere i modi di manifestarsi di questa cultura occorre risalire alle matrici formative, agli etimi ancora operanti e continuamente rinnovantisi nell’uso, che spiegano le ragioni della lingua impiegata (anche gli arcaismi, i neologismi, gli idiotismi) come prodotto di un’area culturale e di una fase storica. All’interno delle quali stessi caratteri, trasformati e aggiornati, come sempre avviene nel fluire dei secoli, sono stati “individuati”: resi individuali, unici e irripetibili.
Alla luce di queste ragioni la produzione tra le due guerre, soprattutto nella fase finale, appare come il risultato coerente, e per molti versi necessario, di un’eredità coscientemente accettata: delle secolari consuetudini plastico-murarie, della nozione aggiornata di organismo come rapporto di necessità tra le parti, dei caratteri tipici degli edifici i quali, sostrato profondo che non si cura delle rivoluzioni in superficie, superano le contingenze della funzione e si adeguano assai lentamente alle reali trasformazioni sociali e tecniche.
Lo dimostra la permanenza degli impianti organizzati intorno ad uno spazio aperto (palazzi conventi ecc.) i cui caratteri vengono reimpiegati in un processo di ingegnoso “annodamento” del vuoto centrale attraverso coperture inizialmente in ferro e vetro. I grandi edifici postali, ad esempio, sono la testimonianza di una trasformazione processuale che si riscontra in modo evidente in tutta Italia, dal Palazzo delle Poste di Venezia, derivato dalla copertura del cortile del Fondego dei Tedeschi, a quello di Genova, di Firenze. Permanenza ereditata, agli inizi degli anni ‘30, dalla mediterranea modernità delle poste romane di via Marmorata e di piazza Bologna le quali, attraverso l’apertura alla città del vano nodale per il pubblico, sembrano realizzare una felice sintesi tra geometria e storia, tra organismo edilizio ed organismo urbano.
E, qualora si considerino sotto lo stesso aspetto processuale altri edifici coevi, possono apparire evidenti scelte molto diverse da quelle riconosciute dalla storiografia ufficiale.
Il Palazzo della Civiltà Italiana, ad esempio, alla cui astratta assolutezza, nell’iterazione ossessiva degli archi, hanno teso senza riuscirvi molte delle architetture dell’epoca (si veda, ad esempio, la proposta di Libera per il municipio di Aprilia): forse nessun edificio, nemmeno quelli delle avanguardie, nega in modo tanto assoluto l’espressione del rapporto leggibile tra le parti della costruzione, le tradizionali necessità organico-costruttive. Esso possiede, per intero, la chiarezza di un pensiero fissato nella pietra, dove le scelte sono didascalicamente denunciate dalla mancanza totale di nodi, dalla serie di arcate ripetute in modo identico, prive di connotazioni capaci di stabilire il ruolo dell’elemento nel contesto dell’edificio. Una modernità riconoscibile attraverso la mancanza assoluta di stratificazione verticale dell’edificio, dove nessuna gerarchizzazione individua il ruolo della parte basamentale, dell’ elevazione, dell’unificazione, della conclusione. E, ancora, attraverso l’estremizzazione della funzione di involucro delle facciate, rigiranti in modo meccanico. Attraverso la contraddizione, infine, tra carattere elastico della struttura portante (a telaio in calcestruzzo armato) e carattere della leggibilità plastico muraria del rivestimento: contraddizione che percorre molta parte dell’architettura, non solo moderna, ma che mai era stata esibita, tuttavia, in modo tanto perentorio.
Così, paradossalmente, un edificio che sembrerebbe porsi, se considerato con i soli parametri del gusto, all’estremo della conservazione più tradizionalista, quasi espressione banale di un mondo pacificato dalla semplificazione, in realtà, se letto nella sua propria lingua, si offre come innovazione tra le più radicali e travagliate: una figuratività seriale tanto provocatoriamente assoluta da poter essere accostata ad alcuni temi dell’arte contemporanea.
E, nonostante l’apparente, maggiore modernità, sul polo opposto dell’asse cardo decumanico dell’ EUR, il Palazzo dei Ricevimenti e Congressi sembra testimoniare l’impronta della nozione ereditata di organismo.
L’impianto dell’edificio, massivo, murario, plastico, è il risultato dell’unione di un impianto di derivazione basilicale (lo stesso Libera aveva assimilato la sala dei ricevimenti alla vastità di un tempio) con vano centrale nodale e vani seriali antinodali, e da un secondo impianto nodale, quello della sala per i congressi, quasi autonomo . La vasta, solenne sala riservata ai ricevimenti, è delimitata da una doppia corona di pareti che contengono i percorsi verticali. Una corona contemporaneamente servente e portante: lo stesso spirito sintetico si individua nella collaborazione tra i vani, nella logica della loro gerarchizzazione, mostrando come Libera abbia pienamente colto lo spirito unitario della nozione di organismo, risolvendo, con uno stesso atto costruttivo problemi statici e distributivi. Anche l’involucro esterno risulta chiaramente gerarchizzata attraverso la distinzione dei ruoli delle parti (portanti e portate, serventi e servite, nodali e seriali): il crepidoma che raccorda la scalinata, l’elevazione denunciata all’esterno dalla limpida perimetrazione dei vani seriali, l’unificazione appena accennata dalla sottile cornice, la conclusione costituita dalla grande copertura metallica a crociera derivata dalla logica del vano nodale.
Due testi dai contenuti opposti comprensibili attraverso la stessa lingua. Emerge una considerazione ovvia eppure stranamente dimenticata dall’architettura contemporanea, concentrata in larga parte sulla spettacolarità di linguaggi instabili, rapidamente mutevoli: il ruolo fondamentale di un codice condiviso. Conosciuto, impiegato, trasmesso.
Al di la delle condanne dei molti critici che hanno interpretato la sua
produzione come naufragio e distesa di rovine, e anche degli agiografi che hanno contribuito ad immettere la sua vicenda nel circuito del consumo dell’immagine (posizioni, entrambe, in fondo, sterili), l’architettura romana tra le due guerre sembra indicare il valore ancora operante della lingua all’interno di un’ area culturale, l’attualità delle matrici formative degli organismi architettonici e del loro processo di trasformazione. Un’ istanza, che pure proviene da uno dei periodi più travagliati della nostra storia, a riscoprire dialetticamente le proprie radici ed il valore della rigenerazione che proviene dalla ricostruzione delle origini, che sembra costituire, in un momento di incertezza e di frammentazioni, non un ripiegamento, ma un’indicazione all’unica forma autentica di rinnovamento e, a ben guardare, di internazionalismo.

GAS Architects. Gestire le idee

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Sapienza Università di Roma
Corso di Laurea in Scienze dell ’Architettura e della Citta’-SAC

GAS Architects. Gestire le idee
Creatività e management in uno studio di progettazione

Tavola rotonda
lunedì 28 novembre 2011 h.12,00, Aula Fiorentino
Facoltà di Architettura,sede di Valle Giulia, via A.Gramsci 53,Roma

Introduce
Giuseppe Strappa (presidente C.d.L.SAC)

Partecipano
André Straja (Goring&Straja Architects,Milano-Roma)
Alfonso Giancotti (“Sapienza”Università di Roma)
Francesco Orofino (VicePresidente INArch)
Federico De Matteis (“Sapienza”Università di Roma)

Modera
Giorgio Tartaro (Giornalista)

Organizzazione: Alessandro Camiz

Segreteria: Marta Zappalà,Endriol Doko, Alessandro Bruccoleri

 

Esami del Laboratorio di Progettazione 2. prof. G. Strappa

 

Gli esami del laboratorio di progettazione 2a del prof. G. Strappa

e gli esoneri del corso di Carattreri tipologici e morfologia urbana del Prof. P. Carlotti

si terranno come da calendario nei giorni

venerdi 18 novembre, ore 15,00 aula 7

preesame
martedì 15, ore 16,30, Dipartimento DIAP

per sostenere l’esame, previa revisione di verifica del docente (preesame), occorre registrarsi sul portale INFOSTUD
https://stud.infostud.uniroma1.it/Sest/Log/Corpo.html

si raccomanda di portare all’esame il taccuino di appunti, le tavole di tutte le esercitazioni e degli schizzi preparatori e di consegnare un DVD o CD ROM contenente tutte le tavole d’esame nel loro formato (A1). I disegni non debbono essere DWG di autocad o PDF, ma una immagine raster della tavola in formato JPEG a colori (300 dpi),  scrivendo sulla copertina il proprio nome, corso, seminario, titolo progetto, email e telefono.

SAC- LAB3 – Elenco iscritti aggiornato

Cognome Nome Matr. STRAPPA DEL MONACO D’AQUINO
Abbisti Ylenia


D’AQUINO
ALIZADEHOTORABAD HOMA 1303388
DEL MONACO
Altobelli Manuela 1098279 STRAPPA

Amato Arianna


D’AQUINO
ANGELETTI FRANCESCO 1319560
DEL MONACO
Astrologo Beatrice
STRAPPA

BATTIPAGLIA EMIDIO 1339143
DEL MONACO
Belà Manuela 901718 STRAPPA

BELLUSCI LUANA 1196507 STRAPPA

Bettini Susanna 1226652 STRAPPA

BIANCHINI MATTEO 1264182 STRAPPA

BILOTTA ADRIANA 1319784
DEL MONACO
BOCCI ALESSANDRA 1328828
DEL MONACO
BOROUSAN SHAHLA 1302961
DEL MONACO
BUSOLI ALESSANDRA 1322798
DEL MONACO
Buttarazzi LORENZO 1174746

D’AQUINO
BUTTINO VALERIA 1326242
DEL MONACO
CALANDRELLI FRANCESCA
STRAPPA

Calisse Laura 1100623 STRAPPA

Callori di Vignale Costanza 1239383 STRAPPA

CAMPONESCHI CATERINA
STRAPPA

CANTAGALLI ANITA
STRAPPA

CAPPELLETTI DINO 1324459
DEL MONACO
CAPPELLETTI EMANUELA 1324379 STRAPPA

CARROZZO PIERO 1099488 STRAPPA

CARUSO SARA 1346777
DEL MONACO
CASADIDIO FEDERICA

DEL MONACO
Cassetta ANTONELLA

DEL MONACO
CAVALIERE GIUSEPPE 1223282 STRAPPA

CERRONE CRISTINA 1308117 STRAPPA

Chegut Amandine 1447244
DEL MONACO
Chiominto Antonio 360814 STRAPPA

CICALINI SILVIA
STRAPPA

CICINELLI FRANCESCA 1330921 STRAPPA

CIGNINI MICHELE 1168909 STRAPPA

CIRONE VALERIA
STRAPPA

Ciucci Pierpaolo 1248391 STRAPPA

Coccia Celeste 1252967
DEL MONACO
COLIZZA GIULIA 1333426 STRAPPA

CORTELLESSA GIUSEPPE

DEL MONACO
COSSU ASIA 1321252 STRAPPA

CRESCENTINI ANDREA 1319240
DEL MONACO
D’AMATO EMILIA

STRAPPA

D’ANGELO MARIA RITA 1240943
DEL MONACO
D’ARPINO GIANMARCO 1227420
DEL MONACO
DE DONATIS ELEONORA 1230435 STRAPPA

DE LUCA GIULIA 1326294
DEL MONACO
DE SANTIS ALESSANDRO 1265768
DEL MONACO
DE SIMONE CATERINA 1332727
DEL MONACO
DE VITA ALESSIA 1309123 STRAPPA

DEL DUCA SONIA

STRAPPA

di berardino sara 364563
DEL MONACO
DI CARMINE GINEVRA

DEL MONACO
DI DONNA ANNA LAURA 1250481 STRAPPA

DI FRANCESCO CRISTIAN
STRAPPA

DI GENOVA ANNARITA 854346 STRAPPA

DI LORETO RAFFAELE 1329816
DEL MONACO
DI MATTEO GIORGIA 1331616
DEL MONACO
DI PALMA SARA 1309668 STRAPPA

DI SEGNI MANUEL 1320005
DEL MONACO
DI TRANI FEDERICO 1323898 STRAPPA

DORATA MICHELANGELO
STRAPPA

ERMINI GIULIA 1250120 STRAPPA

FANELLA VALENTINA 1326224
DEL MONACO
FEDELI MARCO
STRAPPA

FERACO ANTONELLA 1313480
DEL MONACO
FERRONE MARIACHIARA 1299725 STRAPPA

FIORANI GIACOMO 1256416 STRAPPA

FIORAVANTI CHIARA 1314985
DEL MONACO
FONDI MATTIA 1325027
DEL MONACO
FORTUGNO FEDERICA

DEL MONACO
Francisco Albertina

DEL MONACO
FREZZOLINI GIULIA 1308934
DEL MONACO
FUNARI FEDERICO 1331077
DEL MONACO
GALLO ANDREA 1318322
DEL MONACO
GAROFALO FRANCESCO 1097107
DEL MONACO
Gavazzi Giovanna 1095768 STRAPPA

Ghelichi Elnaz 1309203 STRAPPA

GIUBILEI STEFANO 1248401 STRAPPA

Gonnella Claudia 1235055
DEL MONACO
Gradeva Kalina

DEL MONACO
Gramegna Isabella 1100550
DEL MONACO
GRANATI ELEONORA 1315981
DEL MONACO
GRIFONE COSTANTINI MARTHA DANAE 1320680 STRAPPA

GRIMALDI FRANCESCA 1337902
DEL MONACO
Guinamard Marguerite

DEL MONACO
HASSANSOLTANI MARYAM 1309205 STRAPPA

Iannuzzi ALESSIO

DEL MONACO
INSINNA GIULIA
STRAPPA

INTINI ALEXANDRA 1326269
DEL MONACO
KAVOOSI FAR SIAMAK 1309206
DEL MONACO
KUN MYKHAYLO 1326044
DEL MONACO
Labrova Pilvana


D’AQUINO
Laitano Pamela 1323012
DEL MONACO
LANGELLA ALESSANDRA 1334376

D’AQUINO
LAURETTI LUCIA 1259996

D’AQUINO
LAZZARI MATILDE 1302100

D’AQUINO
Leanza Manuela


D’AQUINO
LEE SEUNG EON


D’AQUINO
LENCI LORENZO 1345340
DEL MONACO
LIBERTINI GABRIELLA


D’AQUINO
LLESHI ANA 1250165

D’AQUINO
LOZZI LIVIA 1251847
DEL MONACO
LUCIANI ELEONORA 1334153

D’AQUINO
LUCIANI GIULIA


D’AQUINO
MADDAMMA BRUNO LEONARDO 1327431
DEL MONACO
MAGARO’ ANTONIO 776926
DEL MONACO
MANCINI ELEONORA 1328803

D’AQUINO
MANNUCCI EMANUELE 1311830
DEL MONACO
Marandi Amin


D’AQUINO
MARAZZA ALESSANDRO 1339299

D’AQUINO
MARIANI FRANCESCA 1340708

D’AQUINO
MARTINELLI GIULIA 1323223

D’AQUINO
MASSITTI MATTEO 1309820 STRAPPA

MAZAJI PAYAM 1310827

D’AQUINO
MEARINI CLAUDIA


D’AQUINO
MENGHINI ANDREA 1226043
DEL MONACO
MENICHELLI CONSUELO MARIA 1317514

D’AQUINO
MESTICHELLA LEONARDO 1336801 STRAPPA

MICELI MATTEO


D’AQUINO
MICHETTI ALFREDO 963770 STRAPPA

MILO GIANMARCO 1321665

D’AQUINO
MINELLA OTTAVIO 1332672
DEL MONACO
Mirenda Stefania


D’AQUINO
MOHAMMADINEJAD ANISS 1283427 STRAPPA

MOLINARI SILVIA 1330569

D’AQUINO
MORELLI MARIA ALESSIA 1049974 STRAPPA

MOSCARELLI MARTINA


D’AQUINO
NARDULLI SIMONE 1157932

D’AQUINO
NOVARA CAROLA


D’AQUINO
OGWAL JIM ROY 1334060

D’AQUINO
OTTAVIANI FEDERICO 1331493

D’AQUINO
PACIOLLA MARIA TERESA
STRAPPA

PAGLIONE MAURIZIO 1310340

D’AQUINO
PAPA FRANCESCA 1212508

D’AQUINO
PASSI FEDERICO 1338373

D’AQUINO
PATELLA PATRIZIO


D’AQUINO
PENNA ANDREA 1336659

D’AQUINO
PENNA EUGENIA 1317291 STRAPPA

Pérez Yanes Rubén 1450557
DEL MONACO
PETRUCCI ELEONORA


D’AQUINO
PIERETTI MATTEO 1308926

D’AQUINO
PIERMARINI SILVIA 1330892

D’AQUINO
POFI LAURA 1319487

D’AQUINO
POGGI LUCA 1151650

D’AQUINO
POLDI ROBERTO 1339869

D’AQUINO
Poleggi Irene 1253386

D’AQUINO
RAMACCIA ELISABETTA 1332255

D’AQUINO
RENDIMONTI BARBARA 1317410

D’AQUINO
ROMANINI ALESSIO 1312428

D’AQUINO
ROMANO ALESSIA 1230360

D’AQUINO
ROSATELLI GIULIA 1235851

D’AQUINO
Rossi Giulia 1252093

D’AQUINO
RUCCI FEDERICA



D’AQUINO
RUGGIERO ALESSANDRO 1234628

D’AQUINO
RULLO CHIARA 1331580

D’AQUINO
SAFARIESFANJANI HAMIDREZA 1303387

D’AQUINO
SALDANERI VALENTINA 1319025

D’AQUINO
SALOMONI FRANCESCA 1327630

D’AQUINO
SALOMONI VICTORIA 1235391

D’AQUINO
SANTORO GUENDALINA


D’AQUINO
SCACCIA ALESSANDRA


D’AQUINO
SCAVELLI ROSSANA 1260736

D’AQUINO
SCIALDONE ALESSANDRO 1309627

D’AQUINO
SCIFONI SAMANTHA
STRAPPA

SCIRè GIAMBATTISTA

DEL MONACO
SERAFINI CHIARA 1339668

D’AQUINO
SIMONI ROBERTO 1343618

D’AQUINO
Sordi Daniela 1227362 STRAPPA

Sparro ANDREA

DEL MONACO
SPILA MASSIMO 1202712 STRAPPA

STAMERRA SAMUELE 1333808
DEL MONACO
TAMBURINI BENEDETTA 1340751 STRAPPA

TAMILIA FEDERICA 1264144 STRAPPA

TERSIGNI MANUEL
STRAPPA

TIMMONERI GIULIA 1334593 STRAPPA

TRENTINI MASSIMILIANO 1317297 STRAPPA

TUTTOBENE FRANCESCO 1340597 STRAPPA

VOLPI CECILIA
STRAPPA

VURCHIO ILARIA 1332623 STRAPPA

ZAMPA ALESSIO

STRAPPA

ZHAO QING

STRAPPA
ZULLO
ANNALISA
1315709
STRAPPA

ZURZOLO

FEDERICA
DEL MONACO


ESAMI STRAPPA

Esami laboratorio progettazione 2a prof. G. Strappa

gli esami del laboratorio di progettazione 2a del prof. G. Strappa
si terranno come da calendario nei giorni

mercoledì 14 settembre, ore 15,30 preesame
venerdì 16, ore 11, aula 7, esame

mercoledì 28 settembre, ore 15,30 preesame
venerdì 30, ore 11, aula 7, esame

per sostenere l’esame, previa revisione di verifica del docente (preesame), occorre registrarsi sul portale INFOSTUD
https://stud.infostud.uniroma1.it/Sest/Log/Corpo.html

si raccomanda di portare all’esame il book/le tavole di tutte le esercitazioni e degli schizzi preparatori e di consegnare, per una eventuale mostra dei lavori, un DVD o CD ROM contenente tutte le tavole d’esame nel loro formato (A1), non i DWG di autocad o il PDF, ma una immagine raster della tavola in formato JPEG a colori (300 dpi) e scrivendo sulla copertina il proprio nome, corso, seminario, titolo progetto, email e telefono.