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RIQUALIFICAZIONE ARCHITETTONICA DI VIA PIANA A PISONIANO (RM), Tesi di laurea triennale di EMILIA D’AMATO

SAPIENZA UNIVERSITA’ DI ROMA
FACOLTA’ DI ARCHITETTURA, sede di VALLE GIULIA
CORSO DI LAUREA  triennale in Scienze dell’Architettura e della Città SAC
A.A. 2012/2013
TESI DI LAUREA IN PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA: RIQUALIFICAZIONE EDILIZIA DI VIA PIANA A PISONIANO (RM)
RELATORE: PROF. GIUSEPPE STRAPPA
CORRELATORE: ARCH. MARTINA LONGO
LAUREANDA: EMILIA D’AMATO

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ARCHITETTURA DE’ NOANTRI – LE CHIESE DELLA CRISI

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di Giuseppe Strappa

in “Corriere della Sera” del 10. 8. 2013

Gli architetti tedeschi della Germania appena distrutta dalla guerra costruirono chiese straordinarie, povere e semplicissime, tirate su con pochi mezzi, spesso reimpiegando le macerie e i materiali delle città devastate dai bombardamenti. Il dolore delle distruzioni, la cognizione delle colpe che emergevano, laceranti, dalla cortina di retorica del regime, insieme alla mancanza di mezzi, fecero riscoprire ed esprimere la consolazione della fede, quella semplice e diretta delle origini del Cristianesimo. Sorsero chiese «d’emergenza», spoglie e intense, come quelle costruite da Otto Bartring, disadorne e struggenti come la chiesa in calcestruzzo a vista che Egon Eiermann costruì a Pforzheim.

Anche in condizioni meno tragiche lo spirito di povertà ha dato origine a spazi sacri sorprendenti, come la nuda cappella del monastero di Sint Benedictusberg costruita dal monaco architetto Hans van der Laan, modernissimo inno alla fede fatto quasi di nulla, solo del semplice, armonico ritmo di pilastri in muratura.

La storia mostra come anche la mancanza di risorse, e non solo l’opulenza barocca o la ricchezza del Rinascimento, abbia prodotto grandi chiese.

Certo, il mondo contemporaneo, quello della comunicazione aggressiva e ridondante, ha le sue esigenze. Ma in questo mondo complesso e incerto la Chiesa non dovrebbe indicare una strada? Distinguere tra la forma del messaggio cristiano e quella della pubblicità?

Ci si chiede, allora, come mai nessuna delle nuove chiese costruite nelle periferie romane al tempo della crisi, con bilanci limitatissimi, abbia scelto la strada, pure architettonicamente nobilissima, del gesto elementare e immediato che indica l’essenza delle cose e le esprime con parsimonia di mezzi. I nuovi edifici per il culto sembrano invece, con rare eccezioni, l’esito un po’ goffo di una sorta di «vorrei ma non posso» architettonico. Come se una chiesa costruita con poche risorse debba essere uguale a una ricca, ma di qualità ridotta.

Il loro modello ideale sembra la chiesa, elegante quanto antieconomica, costruita a Tor Tre Teste per l’Anno Santo. Economia, in architettura, non significa solo risparmio: è proporzione, necessità, espressione della collaborazione tra le parti alla vita dell’edificio. Con le sue vele autonome e indipendenti, l’opera di Meier sembra contraddire quella solidarietà e collaborazione tra le parti che è anche, ma non solo, riduzione di costi: è uno spreco nella forma, prima che nei bilanci.

Da allora, nonostante gli investimenti fossero stati ridotti al minimo, abbiamo assistito a una parata di mezze sfere, pizzi, giochi di volumi inutilmente estetizzanti, spesso indigesti, col sostegno di una critica del volemosebbene che sa poco di amore cristiano e molto di consociativismo.

Possibile che non ci sia modo di costruire, da noi, spazi sacri autenticamente contemporanei, cioè immersi nel proprio tempo, nelle condizioni di crisi e di necessità che chiederebbe una saggia, religiosa, innovativa proporzione tra mezzi e fini?

Ho idea che alla prossima chiesa del famolo strano qualcuno perderà la pazienza. Forse proprio papa Francesco.

IL FUTURO DEI CENTRI MINORI LAZIALI

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Intervento di riqualificazione urbana e servizi a S.Polo dei Cavalieri. Tesi di laurea di A. Bruccolerei

QUEI FIGLI DI UN DIO MINORE

di Giuseppe Strappa,  in «Corriere della Sera» del 4  agosto 2013

Se si superano le ultime, terribili borgate intorno a Roma, dove la periferia compatta si trasforma in un pulviscolo insensato di edifici che si affollano uno accanto all’altro, comincia ad apparire una campagna ancora decorosamente coltivata. Emerge, sullo sfondo dei campi, la sagoma di paesi che sembrano provenire dal passato, isolati da valloni alberati nei quali scorrono corsi d’acqua. Microcosmi urbani dall’architettura familiare che non sembrano coinvolti nel naufragio del territorio, appartati come sono sui crinali dei Monti Ernici, Simbruini, Sabini.

Eppure, entrando tra le mura cariche di storia, ci si accorge della loro progressiva rovina, della vita che da qui sembra fuggire e disperdersi. A volte è un nuovo melting pot etnico e sociale, per fortuna, a ripopolare le case affittate a basso costo, a integrare una popolazione composta ormai soprattutto da anziani. Ma dovunque l’abbandono sembra rallentato solo dalle “seconde case”, antiche abitazioni spesso oggetto di alterazioni striscianti, continue, incontrollate, che finiscono per stravolgerne il senso e la forma.

Per questi “centri minori” non sembra esserci, in realtà, futuro.

Ci si chiede, tuttavia, come sia possibile che si preferisca vivere nel mezzo di un dissennato sprawl urbano di casette, palazzine, capannoni cresciuti senza ordine, piuttosto che abitare poco oltre, in questi luoghi dove le piazze sono ancora belle, l’aria buona e i figli potrebbero crescere lontano dal caos e dall’inquinamento.

Le risposte sono sempre le stesse: la distanza da Roma e dal posto di lavoro dilatata dall’inefficienza dei trasporti; la carenza di servizi moderni, ritenuti incompatibili con la tutela dell’edilizia storica.

Proprio in tempo di crisi, credo che varrebbe la pena investire (molto) per risolvere questi problemi. Si dovrebbe capire che i centri minori sono una grande risorsa che permetterebbe di decongestionare la Capitale, fornire abitazioni a basso costo, conservare un patrimonio storico prezioso, permettere, soprattutto, un ambiente di vita migliore. Senza ulteriore consumo di territorio.

I paesi laziali potrebbero essere le nostre new town, le nuove smart cities di una cultura che ha sempre prodotto città intelligenti, oltre che bellissime. Una svolta antropica che potrebbe muovere una nuova economia, alimentata da piani di accessibilità (scale mobili, ascensori urbani), nuove tecnologie, moderne infrastrutture ferroviarie che leghino in rete i nodi del territorio, come avviene nell’hinterland delle grandi città europee.

Va trovato, anche, un nuovo modello di tutela dell’edilizia storica perché il problema non è solo la sua conservazione inerte, come in un museo. Occorre individuare trasformazioni “congruenti”, basate sul dato innegabile che una città, come ogni organismo vivente, deve trasformarsi di continuo per sopravvivere.

E’ proprio necessario, ad esempio, costruire nuovi municipi, o servizi pubblici al di fuori dei centri storici, svuotandoli di vita? Gli edifici più rilevanti sono sempre nati, nella città italiana, da trasformazioni, dalla fusione sapiente di edifici riuniti a formare palazzi e conventi. Non si potrebbe continuare questo processo, con attenzione alla storia ma anche alle domande della vita contemporanea?

LETTURA E RIQUALIFICAZIONE URBANA DEL QUARTIERE DI SAN TELMO A BUENOS AIRES, Tesi di laurea di ANNA RITA DONATELLA AMATO

SAPIENZA UNIVERSITA’ DI ROMA
FACOLTA’ DI ARCHITETTURA VALLE GIULIA
CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA ARCHITETTURA (RESTAURO)
TESI DI LAUREA IN PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA: LETTURA E RIQUALIFICAZIONE URBANA DEL QUARTIERE DI SAN TELMO A BUENOS AIRES
RELATORE: PROF. GIUSEPPE STRAPPA
CORRELATORE: ARCH. ALESSANDRO FRANCHETTI PARDO
TUTOR: LUIS EDUARDO TOSONI
LAUREANDA: ANNA RITA DONATELLA AMATO

Buenos Aires rispecchia in molti suoi aspetti le caratteristiche tipiche di una metropoli contemporanea costituitasi non più di duecento anni fa; i grattacieli del micro centro e di puerto madero, le enormi avenidas e la sua struttura urbana sempre perpendicolare, mostrano la sua forte connotazione di città di fondazione interamente pianificata .
In questo contesto, che non sembrerebbe lasciar spazio a riflessioni sul processo formativo del tessuto urbano, si riscontra invece, in gran parte del patrimonio edilizio presente, una costante inaspettata che fa tesoro di molte caratteristiche figlie di un tipo edilizio mediterraneo che ha più di duemila anni. Il tipo a corte, della domus romana, viene importato in Argentina e in generale in latino-america dalle colonizzazioni spagnole e diventa la matrice di quel tessuto urbano che oggi è l’essenza di Buenos Aires.
La casa de patios, come dimostrano gli studi di F. Diez, corrisponde al tipo base, le cui evoluzioni e trasformazioni hanno determinato la formazione di tipi sempre più vicini alle esigenze di densità e modernità della città argentina, costituendo organismi edilizi, come l’edificio entre medianeras, in cui si coniugano l’esigenza di verticalità con la memoria della corte come spazio di distribuzione e, forse l’aspetto meno condivisibile, le stesse dimensioni del lotto di una casa de medio patio (7,5m circa, 10 varas), diretta derivazione della casa de patios.
In questo contesto si collocano i progetti di riqualificazione dell’ex patronato de infancia e dei progetti residenziali di Defensa y Carlos Calvos e Paseo Colon y Estados Unidos.
In tutti gli interventi , che vorrebbero costituire una sorta di metodo guida per la progettazione nel tessuto storico, il tema base è quello della stretta connessione tra percorsi e organismo architettonico, intendendo come tale anche le corti e gli spazi aperti che in questo senso concorrono alla definizione dell’organismo urbano a cui sono direttamente collegate.

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