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GRAFFITI & RIPULITURE

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Ripuliture dell’Ama a Campo de Fiori

di Giuseppe Strappa

in «Corriere della Sera» del 9  dicembre 2013

Piazza dei Librari, una mattina di sole.

Seduto al tavolo del bar osservo le pareti sopra la sede storica del PD romano, le sfumature luminose degli intonaci, le tonalità degli ocra, i gradi delle terre sulla trama delle facciate. Più in basso, al piano terreno, si snoda invece un variegato patchwork di rappezzi cui si sono sovrapposte le scritte della recente dimostrazione.  Una squadra dell’Ama sta provvedendo a stendervi sopra una mano di vernice. Mischiano tinte, pennellano.

Milù, la mia cagnetta, li guarda affascinata.  Da qualche tempo la Municipalizzata ha organizzato un servizio di ripulitura delle scritte nel centro storico per coprire lo spray di graffiti, backjump, frasi, tag ossessivi.  Qualcuno osserva che a fare danno alle facciate di Campo de Fiori non sono tanto le dimostrazioni, inconveniente passeggero, ma  l’accanimento continuo dei “graffitari”. Come possono non rendersi conto che la stessa cosa fatta a New York o nel centro di Roma ha un senso opposto?  Che un luogo è un linguaggio, come diceva Manganelli?  Che quello che lì è espressione di libertà estetica, qui è solo stupidità insensata?  Viva l’Ama, dunque, della gloriosa, duplice lotta contro il degrado e contro il provincialismo!

Ma il vero problema è che il rimedio è peggiore del male: le strade “ripristinate” si vanno in realtà contornando di bizzarre fasce estemporanee, rappezzi dipinti in giallo, grigio cenere, zafferano, arancione, secondo l’estro momentaneo, si direbbe, dell’autore. Forse servirebbe, almeno, qualche decente corso di formazione.

Intanto arrivano i cappuccini di Saverio, fumanti, professionali, con la schiuma dosata al punto giusto.

E la conversazione si ravviva.  Bisogna trasformare il danno in risorsa.  Il problema del vandalismo grafico è un fenomeno dilagante, comune a tutti i centri storici: si potrebbe inventare una scienza della manutenzione diffusa, sviluppare una tecnologia ad hoc e magari esportarla.

Roma possiede, in questo, un know how particolare: potrebbe riversare le sofisticate conoscenze delle sue scuole di restauro nella cura diffusa dell’ambiente urbano, alimentare una vera e propria nicchia produttiva con molteplici indotti. Oggi si vendono sistemi, non oggetti.  Si parla di come si potrebbero leggere gli intonaci con scanner dedicati, di computer che traducono i dati in codici RGB , di centraline che miscelano le vernici in tempo reale.  Si potrebbe…

Tra un cornetto e un sorso di caffè, si sogna che la via romana alla modernità passi attraverso la redenzione della Grande Municipalizzata.

Ma la colazione è finita e si torna alla realtà.

Mi avvio al lavoro. All’angolo della strada incontro i sacchi della raccolta differenziata.  Milù annusa e mi guarda sarcastica.  Dopo anni, l’Ama ancora non è riuscita a risolvere questi ingorghi di spazzatura. Penso a Istanbul. Lì gli abitanti gettano i rifiuti in invisibili contenitori immersi sotto le strade e alle sei di mattina un camion li solleva e li svuota.  Non siamo nemmeno capaci di importare un sistema come quello, semplice, di buon senso.  Altro che esportare tecnologia!