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SEGMENTI E BASTONCINI La deriva empirica dell’architettura

Presentazione a

Progettare il tessuto urbano di Alessandro Franchetti Pardo, Roma 2012

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di Giuseppe Strappa

Non è facile, ai nostri giorni, convincere i giovani della necessità della teoria, del pensiero unificante che da senso al molteplice, che riporta il particolare alla visone sintetica delle cose.
I motivi sono molti e riguardano tutte le età dell’educazione e della formazione dei nostri studenti.
Un ruolo certamente importante è svolto dall’insegnamento nelle scuole medie dove la constatazione dei fatti ha sostituito la loro dimostrazione e  l’esperienza pratica la conoscenza generale della quale ogni caso specifico costituisce un’applicazione. Gli studenti che frequentano i nostri corsi universitari sono figli di questo insegnamento che, negli studi di architettura, sembra trovare conferma da quello che vedono intorno a loro, dalla deriva, spesso estetizzante e indimostrabile, di molte ricerche contemporanee.
Lucio Russo ha espresso questo dato con un’ osservazione fulminante, che vale la pena di riportare. Egli parla della disastrosa diffusione della “matematica pratica” e riporta l’opinione di uno studente della “Sapienza” di Roma che ritiene falsa la geometria, astratta e generica,  derivando la sua deduzione dal fatto che non esistono nella realtà segmenti, che ha valore solo quello che è concreto, ha uno spessore ed è verificabile con l’esperienza: i bastoncini. “L’argomento – scrive Russo – non mi è giunto nuovo: l’avevo già letto nelle opere di Sesto Empirico; allora la razionalità scientifica stava per essere abbandonata per una quindicina di secoli.”
Abbiamo spesso riflettuto con Alessandro Franchetti Pardo, autore di questo prezioso libretto sulla didattica di architettura, su come l’osservazione trovi una puntuale corrispondenza nella predisposizione dei nostri studenti dei corsi di progettazione alle scorciatoie che evitano il confronto con la conoscenza generale dei problemi, la quale, per noi, consiste soprattutto nella lettura critica della realtà costruita, nell’interpretazione metodica e finalizzata dei fenomeni urbani che, sola, dà senso generale alla proposta progettuale particolare.
Questo problema dell’approccio diretto ed empirico al progetto è particolarmente sentito, peraltro, in un settore dell’insegnamento di architettura come il nostro, nel quale la componente pratica ha un ruolo importante e rischia di essere indirizzata all’imitazione della produzione più nota e diffusa dai media. Produzione nella quale il progetto, per larga parte, avendo smarrito il suo fondamentale carattere di costruzione, continuazione di un processo formativo in atto della città e del paesaggio, rischia di perdere il proprio senso civile per  divenire altro dall’architettura: comunicazione, arte visiva, comunque espressione individuale e soggettiva.
Franchetti Pardo è uno dei non molti insegnanti di progettazione che io conosca a porsi, controcorrente, con originalità e grande competenza, il problema di informare il proprio insegnamento non solo a principi generali legati alle incertezze della mutevole condizione contemporanea, ma anche ad un metodo rigoroso di comprensione dei luoghi e dei loro processi formativi, propiziando una ricerca, da parte degli studenti, i cui notevoli esiti sono in piccola parte dimostrati dalle pagine che seguono.
Leggere e progettare, oggi, la nobile area di via Giulia, con i suoi tessuti  ed i suoi palazzi disegnati da grandi architetti del passato e confrontarla con quella periferica e dimenticata di Casal Monastero, come fa qui Franchetti Pardo, è, a mio avviso, una scelta importante e coraggiosa. Significa affermare che i principi che determinano il formarsi e trasformarsi dello spazio abitato dall’uomo hanno una matrice comune, che quello che produciamo oggi è una continuazione e un aggiornamento di un processo lungo e continuo nel tempo che va riconosciuto superando gli stereotipi e le ideologie di superficiali rivoluzioni.
Attraverso i corsi di Franchetti Pardo lo studente ha individuato, credo, non solo la forma della città antica e le trasformazioni operate dall’intelligenza di costruttori-architetti la cui opera è tramandata dalla Storia, ma anche la permanenza di questa capacità di comprensione delle cose in progettisti contemporanei che hanno interpretato, pur nelle difficili condizioni della periferia romana, il territorio marginale come città in divenire della quale vanno individuati forma e caratteri. In modo non molto diverso, in fondo, da come della città del passato è stata letta la  struttura sviluppatasi per gerarchie di percorsi, polarità, tipi di edifici congruenti con la propria fase storica.
In questo, mi sembra, il lavoro didattico di Alessandro Franchetti Pardo si collega con coerenza, per metodo e fini, all’attività di indagine innovativa che stiamo conducendo insieme, nel quadro delle ricerche  Prin, sulla progettazione nei piccoli centri storici del Lazio orientale,  e alla precedente indagine sulla periferia ad est di Roma, in corso di pubblicazione, a testimonianza di un fertile volano che sempre dovrebbe trasmettere alle giovani generazioni i risultati delle sperimentazioni in corso.