LA PELANDA E IL SENSO DEL RESTAURO

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LA PELANDA E IL SENSO DEL RESTAURO

di Giuseppe Strappa

in «Corriere della Sera» del 23 aprile 2010

La Pelanda era il cuore oscuro dell’ex Mattatoio di Testaccio.
Abbandonata come per una maledizione, ricordava cruenti riti industriali e l’odore del sangue dei maiali che qui venivano “lavorati”. Sotto le capriate fatiscenti pendevano ancora, appesi al labirinto delle rotaie, lugubri, i ganci per il trasporto delle bestie.
Oggi nella Pelanda appena trasformata in un raffinato spazio per mostre ed eventi, quegli stessi strumenti di lavoro e morte assumono significati nuovi e misteriosi, evocazioni subliminali che affiorano sullo sfondo delle superfici di cristallo, tra i pannelli e le luci delle mostre.
Il recupero del vecchio edificio di Gioacchino Ersoch ha generato un singolare spazio contemporaneo e un’architettura molto romana, dove la rovina moderna viene metabolizzata e riproposta con spirito nuovo.
Un’operazione riuscita che pone problemi comuni a quella notevole parte del nostro patrimonio storico costituita da edifici di grande valore documentario per i quali, proprio perché non si tratta di monumenti, è difficile stabilire un metodo d’intervento.
Il segreto del successo consiste, forse, nella sapiente umiltà con cui i progettisti si sono avvicinati al tema. Non sovrapponendo architetture “autobiografiche” alle preesistenze, come sta avvenendo altrove, ma continuando quel fisiologico processo di trasformazione di cui è oggetto, da secoli, ogni edificio romano.
La costruzione recuperata mostra così gli strati della sua formazione, lo scorrere del tempo che altera le cose, le corregge, ne cambia il senso.
Un intervento “sottovoce”, si potrebbe dire.
I suoi progettisti, Gabriella e Massimo Carmassi, lontani dalle mode e sconosciuti al grosso pubblico, sono amatissimi da una schiera di giovani architetti. Non a caso la recente presentazione dei loro lavori  a Valle Giulia è stata organizzata dagli studenti, stanchi degli strepiti delle archistar.
L’operazione della Pelanda sembra, in realtà, gettare un ponte discreto verso il futuro dell’ex Mattatoio, area di frontiera dove si sono insediate le attività più disparate: mondi apparentemente lontani che vanno stabilendo nel tempo, tuttavia, inattese affinità. Dimostrando come straordinari spazi innovativi si possano formare anche attraverso adattamenti successivi dell’esistente.
E forse non è inutile ricordare che, senza nulla togliere al valore del Maxxi, i suoi 20.000 m² sono costati 150 milioni d’euro, mentre i 5.000 della nuova Pelanda ne hanno richiesti 13.

Viaggio di studio in Spagna: Madrid – Toledo

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VIAGGIO DI STUDIO IN SPAGNA
MADRID – TOLEDO
Facoltà di Architettura “Valle Giulia”
Corso di Laurea in Scienze dell’Architettura e della Città (S.A.C.)
Laboratorio di Progettazione 2A, Prof. G. Strappa A.A. 2009/2010
Il laboratorio di progettazione 2 del prof. Strappa 2009/10 organizza un
viaggio di studi in Spagna (Madrid e Toledo) dal 18 al 23 maggio 2010.
Il viaggio, finanziato con fondi di Facoltà, prevede una quota di partecipazione di 60,00 euro.
La quota comprende:
Volo Ryanair da Roma-Ciampino a Madrid e viceversa
Tasse aeroportuali
Sistemazione 4 notti a Madrid (zona residenziale) e 1 notte a Toledo (centrale) in alberghi 2/3
stelle in camera doppia o tripla inclusa la prima colazione
Treno da Madrid a Toledo e viceversa
Assicurazione medico bagaglio
La quota non comprende:
I pasti (pranzo e cena), le spese per metropolitana e altri trasporti urbani, eventuali biglietti di
musei e quanto non espressamente indicato
Organizzazione: Alessandro Camiz
alessandro.camiz@uniroma1.it
338713648
Per ulteriori informazioni
http://w3.uniroma1.it/strappa

Studio Valle – 50 anni di architettura

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mostra organizzata dalla Darc al San Michele

in «Corriere della Sera» del 07.12.2007
di Giuseppe Strappa

La saga professionale della famiglia Valle, dai primi progetti dell’ingegner Cesare nel ’26 ai recenti lavori dello Studio, è ora in mostra al San Michele. Una mostra, ricca e ben documentata, che rappresenta uno spaccato dell’architettura romana vista “dal di dentro”, da chi costruisce pezzi di città, che si sporca le mani con la calce, lotta con gli appalti e la burocrazia. Che rischia, dunque, e qualche volta sbaglia, ma crede ancora che lo scopo dell’architetto sia la costruzione in tutti i suoi aspetti, non le riviste patinate. Questa visione sintetica, quasi  “rinascimentale” del proprio mestiere, che pretende di controllare per intero i processi, dal progetto al cantiere, può sembrare inattuale. Eppure questo limite è anche la grandezza di alcuni grandi studi romani, che, fenomeno forse unico nel mondo della specializzazione, riescono ad essere vincenti con un’organizzazione ancora da atelier.
La storia inizia con i primi progetti di Cesare Valle come il liceo “Giulio Cesare” a Corso Trieste, vera invenzione urbana dove un lungo portico trasparente rompe l’isolamento dell’edificio annodandolo alla vita che scorre nel quartiere. Un tema che compare anche nelle case di via Poma, associate ormai al delitto misterioso che vi avvenne, ma invece allegre ed ariose. Colpiscono, nei suoi disegni, le audaci strutture studiate con Pierluigi Nervi, dallo stadio per 120.000 spettatori all’immenso auditorium sull’Aventino. Opere che forniranno una sorta di “imprinting strutturale” al figlio Tommaso.
Il quale inizia la propria attività, nel dopoguerra, con lo straordinario progetto  per Auschwitz, dove il vero monumento è il campo stesso dello sterminio, marchiato dal segno lugubre della ferrovia e dalle rovine che emergono dal suolo come apparizioni, evocatrici di un sostrato oscuro e terribile.
E poi un fiume di progetti legati alla casualità delle occasioni professionali, difficili da raccogliere in filoni di ricerca. Edifici di solida tradizione muraria e romana (dall’Ateneo salesiano alla biblioteca Don Bosco appena terminata) s’intrecciano al linguaggio trasparente del padiglione italiano all’Expo di Osaka, che riassume, nell’intrico  piranesiano delle travature diagonali, le inquiete ricerche sulle “megastrutture” degli anni ’60. O di opere come la futura sede del Consiglio europeo a Bruxelles, della nuova Fiera di Roma e tante altre. Pezzi di città ignorati, tuttavia, da una critica che sembra spesso prediligere il gioco intellettuale, il disegno raffinato e astratto.
Per questo la mostra organizzata dalla Darc al San Michele non è solo un documento inedito, ma anche il segno di una nuova attenzione alla realtà, concreta e contraddittoria, della città che si trasforma.