La perdita di Jeremy Whitehand

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

in U+D n.15

Mentre è in chiusura questo numero della rivista, abbiamo avuto la notizia, tristissima, della morte di Jeremy Whitehand.

È una grande perdita. La sua ricerca è stata di fondamentale importanza per il progresso degli studi di morfologia urbana, per i quali ha proposto e sviluppato alcuni temi di indagine del tutto originali come quelli sulla nozione di “fringe belt” e “regioni morfologiche”.

Quando all’inizio degli anni ’90 abbiamo incontrato, come gruppo legato agli studi di Saverio Muratori, Jeremy e la scuola conzeniana, la cultura architettonica era dominata da una nuova corrente tardo-romantica che considerava l’architettura soprattutto come espressione individuale.

Anche se ostacolati da un’ardua barriera linguistica, dalla mancanza di sovrapposizione nel significato di molti termini impiegati (ci sono voluti quattro anni per produrre l’edizione italiana del pionieristico testo di Conzen su Alnwick), abbiamo scoperto chiare affinità nei principi fondamentali. Condividevamo soprattutto l’idea centrale che si possano riconoscere, nella città e nei tessuti urbani, caratteri tipici, ripetibili, che mutano nello spazio e nel tempo pur mantenendo alcune regole generative.

Il modo rigoroso di Jeremy di condurre questo tipo di studi è stato sicuramente un aspetto importante della sua personalità. Ma quello che ci ha affascinato è stata, direi, un’ “empatia etica”.

Quando lo abbiamo conosciuto, il clima intellettuale (non solo in architettura) era ancora sostanzialmente postmoderno, orientato dalla crisi della razionalità progettuale. Al contrario, le idee di Jeremy erano chiare e solide, soprattutto dimostrate e comunicabili. A differenza del relativismo dominante, che non ammetteva alcuna verità, egli ne possedeva una propria, sicura. In realtà, i principi in cui credeva non erano solo scientifici, ma anche etici. In modo del tutto aperto e tollerante, credeva che potessero esistere altre verità e ammetteva il diverso, ma le sue opinioni erano ferme, di cristallina evidenza e si assumeva la piena responsabilità delle sue scelte. L’intervista rilasciata per il numero 13 di questa rivista ne è, peraltro, un chiaro esempio. Le sue posizioni erano non solo decise, ma anche dialettiche, e per questo i rapporti all’interno delle nostre scuole sono sempre stati chiari, stimolanti, produttivi.

Questo è il ricordo che porteremo di lui: una personalità solida, di eccellente e fertile rigore scientifico, ma anche uomo di grande forza etica.

(G.S.)

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