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ELADIO DIESTE E L’ARCHITETTURA NUOVA IN URUGUAY

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di Giuseppe Strappa.
in “Corriere della Sera” del 17 aprile 2007
Ingegnere e architetto, aveva passato la vita sognando volte straordinarie, sottili come gusci, che sembrano sospese nell’aria. Ali di gabbiano che si accavallano e lasciano filtrare squarci di luce nella penombra, pareti sinuose come onde che s’inseguono a formare involucri di chiese, mercati, stazioni.  Costruiva le sue superfici arditissime in mattoni: una sorta di high tech dei poveri, ai confini del mondo, nell’Uruguay lontano e solitario dove anche il calcestruzzo era un lusso e le vere risorse del costruttore erano la manodopera a basso costo e la terra per fare i laterizi. Eladio Dieste avrebbe potuto essere un personaggio dei racconti fantastici di Gabriel Garcia Marquez, un abitante di Macondo.
L’Uruguay dove Dieste nacque e costruì le prime opere negli anni ‘50, era un luogo nuovo e giovane, dominato dal paesaggio struggente dei palmizi, delle praterie popolate di strani animali, piccoli struzzi, tapiri, armadilli. Una terra vergine dove si poteva guardare alle cose (ai materiali, alle forme degli edifici) con gli occhi curiosi di un bambino, senza il filtro delle mode e gli steccati delle scuole.
Ai nostri giorni, quando i circuiti dei media ci hanno assuefatto alle bizzarrie del superfluo, a forme architettoniche mai viste generate da quell’irrefrenabile bisogno di stupire che si annida nelle società più ricche e annoiate del globo, le forme inconsuete di Dieste suscitano un’emozione insolita perché nascono da necessità pratiche, da problemi costruttivi risolti con una logica rigorosa eppure tanto libera da schemi da sembrare pura fantasia.
In questi giorni a Dieste è dedicata una bella mostra alla Casa dell’Architettura di Roma. Con la nostra città l’ingegnere uruguayano aveva legami sotterranei,
partecipando a quel clima di razionalismo costruttivo nel quale nascevano strutture leggerissime, capaci di resistere grazie alla sola forma, come fogli di carta ai quali opportune piegature conferiscono una sorprendente rigidezza. Era il mondo del “minimo strutturale” che a Roma ha avuto alcuni degli esponenti maggiori, da Riccardo Morandi a Sergio Musmeci.
Ma l’aver colto l’eco di sperimentazioni avanzatissime in un angolo sperduto e arretrato del mondo (l’aver espresso il contrasto tra l’opaca povertà del mattone e la lucida leggerezza delle strutture laminari) conferisce alle opere di Dieste la poesia autentica dell’esplorazione solitaria e appassionata. Il guizzo dinamico delle pareti della chiesa di Cristo Obrero, la sua opera più famosa, non appariva nel turbine di traffico di una metropoli, ma dietro l’asinello che trascina il suo basto, nel tempo immobile di un paesaggio arcaico. Forse per questo la sua ricerca ha acquistato il sapore eroico di un’epopea sudamericana. Ancora si racconta, nel Rio Grande do Sul, la storia del collaudo del mercato di Porto Alegre, quando, a poche ore dal completamento dell’enorme copertura, spessa pochi centimetri ma ampia 42 metri, mentre ancora la malta non aveva acquistato tutta la sua resistenza, Dieste fece salire gli operai sulla volta utilizzandoli come zavorra umana per le prove di carico. Un gesto che potrebbe sembrare di azzardato cinismo se lo stesso progettista non fosse salito per primo, sicuro e sorridente, al centro della struttura.
Dieste è morto sei anni fa circondato dall’aura del maestro. Le ultime foto ce lo mostrano appoggiato ad un bastone, la fronte solcata da un nugolo di rughe e lo sguardo fisso, un po’ folle, come se inseguisse nuovi vortici di superfici gaussiane. Usava dire con orgoglio che anche le sue opere stavano subendo “un buon invecchiamento”, sintomo di un’architettura vitale. Ci lascia, soprattutto, una grande lezione di etica architettonica, il rispetto ossessivo per il lavoro impiegato senza sprechi, nel migliore rapporto possibile tra risorse e risultato, dove la bellezza è espressione, insieme, di intelligenza creativa e sapiente parsimonia.

PROCESSO FORMATIVO DEI MATERIALI MODERNI

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PROCESSO FORMATIVO DEI MATERIALI MODERNI

di Giuseppe Strappa

Le interpretazioni moderne della trasformazione della materia in materiale costituiscono, per molti versi, l’eredità delle aree culturali nelle quali si sono consolidati modi specifici di impiegare strutture a carattere elastico o plastico. L’innovazione non riguarda solo l’impiego di elementi e strutture derivate da nuovi materiali, ma anche la collaborazione, funzionale e costruttiva, tra materiali diversi.
All’inizio del XIX secolo la rivoluzione industriale ha messo a disposizione dell’architetto nuovi materiali dei quali egli deve riconoscere l’attitudine all’impiego in architettura. Si tratta di materiali la cui esistenza era nota da tempo e impiegati in modo limitato nelle costruzioni i quali, tuttavia, attraverso nuove lavorazioni e sistemi produttivi, assumono caratteri diversi ed inediti e, dato assai rilevante, sono disponibili in quantità tali da modificare sostanzialmente il carattere delle nuove fabbriche. L’incertezza nel loro impiego, la necessità del loro studio razionale e di nuove sperimentazioni contribuiscono ad una estesa condizione di crisi nello stesso ruolo dell’architetto. “Questa confusione – scrive in proposito Walter Benjamin –derivava in parte dalla sovrabbondanza di procedimenti e di nuovi materiali, improvvisamente a disposizione. Quanto più ci si sforzava di appropriarsene, tanto più si compivano passi falsi e si fallivano i tentativi.”
Nelle aree che corrispondono, di larga massima, ai centri di irradiazione della cultura gotica e di più radicate tradizioni lignee, l’uso del ferro (e in parte della ghisa) avviene in continuità con la tecnica delle costruzioni in legno.
L’innovazione negli elementi riguarda il diverso modulo di elasticità e maggiore inerzia, a parità di materiale usato, rispetto alle sezioni rettangolari in legno ottenuta con l’impiego di profilati soprattutto a doppio T . Le diverse parti della sezione si specializzano per assorbire le tensioni sui diversi piani; l’anima si configura per assorbire le tensioni tangenziali, le ali, compresse o tese, per assorbire le diverse tensioni normali.
Le strutture che non comportano il superamento di grandi luci, tuttavia, conservano il carattere mutuato da quelle lignee, con la sola differenza di una maggiore rigidità dei nodi. Non è un caso che molti architetti si rivolgano alle forme seriali, trasparenti, portanti e non chiudenti del passato. Karl Bötticher, ad esempio, riassumeva i suoi studi sulla continuità tra storia e innovazione indicando come i nuovi sistemi di strutture metalliche dovessero assumere “il principio formale del mondo ellenico“.
Ma, se una parte dell’architettura, ormai divisa dalle specializzazioni, entra a far parte delle arti figurative con l’Ècole des Beaux Arts, un’altra parte, con l’Ècole des Ponts et Chausses, entra a far parte del mondo della tecnica e della produzione. Gli ingegneri affrontano senza pregiudizi i grandi temi delle strutture richieste da nuovi tipi di impianti assiali o polari, come le stazioni ferroviarie o i palazzi per esposizioni, adottando inedite strutture organiche spazialmente legate ad organismi tradizionali con strutture innovative basate sull’iterazione di  elementi seriali.
La leggerezza è il principale carattere riconosciuto alle nuove strutture, insieme alla trasparenza che permette la permeabilità alla luce naturale, ma anche la visione spettacolare dall’esterno della luce artificiale proveniente dai grandi vani destinati al commercio, dalle galeries, dai passages illuminati a  gas, espressione del flusso della vita e della folla nella metropoli moderna. Il ferro si associa naturalmente al vetro secondo tecniche sempre più affinate e tipizzate che propizieranno il formarsi di alcuni tipi di copertura che costituiscono alcune delle immagini più consolidata dell’architettura del XIX secolo.
Le moderne strutture metalliche, sorte in area nordeuropea di tradizioni elastico lignee e ad elevato sviluppo tecnologico, raggiungono rapidamente una definizione stabile che mutua i propri caratteri dagli elementi in legno Le strutture in calcestruzzo armato, invece,  trovano una definizione più lenta
Il processo che ha portato all’impiego razionale del calcestruzzo (utilizzato in altre forme fin dall’antichità) può essere assimilato a quello del riconoscimento di una vera e propria materia, in questo caso artificiale, nella quale si individua la suscettibilità all’uso nelle costruzioni.
Il nuovo calcestruzzo è un conglomerato costituito da inerti (sabbia e ghiaia) uniti da un legante costituito dal cemento, che viene assimilato, in origine, ad una roccia artificiale. Il calcestruzzo può assumere qualsiasi forma grazie alla caratteristica di poter essere gettato in casseforme.
Il processo dimpiego si differenzia inizialmente arealmente in due filoni a partire dagli elementi su cui si basano:

–   elementi e strutture nati come rinforzo delle strutture murarie esistenti in area plastico muraria;
–    elementi e strutture nati come sostituzione di parti delle strutture elastiche esistenti, in area elastico lignea.

In entrambi i casi, va notato, l’origine degli elementi in calcestruzzo è dovuta a problemi di restauro e trasformazione dell’esistente , per il quale il calcestruzzo armato, con la disponibilità intrinseca ad assumere qualsiasi forma, sembrava particolarmente adatto. Si tratta, quindi, di una formazione processuale basata su tecniche consolidate: l’incertezza di fronte al riconoscimento dei caratteri di una materia artificiale completamente nuova, la sua trasformazione in materiale attraverso l’individuazione delle possibili attitudini costruttive, viene risolta attraverso il riferimento a strutture e sistemi consolidati. Lo stesso François Hennebique, massimo innovatore nelle tecniche costruttive in calcestruzzo armato, aveva iniziato la propria attività di costruttore nei restauri delle coperture delle cattedrali gotiche, sviluppando una grande dimestichezza nella sostituzione di strutture a carattere seriale che lo porteranno ad elaborare le prime travi in calcestruzzo prefabbricate a piè d’opera ed armate con barre metalliche cilindriche (1879) per sostituire i travetti di legno nel solaio di un’edifico in costruzione per il quale si era deciso di utilizzare strutture a prova d’incendio (villa Madoux a Westende).
Tra le molte direzioni possibili nello sviluppo delle strutture in c.a. si intraprese dunque, nelle aree portanti nordeuropee, quella dell’adeguamento a sistemi elastici, con rapida diffusione nel resto d’Europa.
D’altra parte molte delle innovazioni pratiche ottenute per collaborazione tra due materiali avevano riguardato il problema fondamentale delle strutture elastiche: la formazione dell’elemento trave. Si vedano le combinazioni di elementi compressi in materiale resistente a compressione come la pietra, i mattoni o la ghisa, con un materiale resistente bene a trazione come il ferro. L’impiego murario, pure insito nel carattere stesso del materiale, del calcestruzzo in forme organiche, portanti e chiudenti allo stesso tempo, doveva avvenire molto tempo dopo, con l’impiego delle pareti armate, delle volte sottili, di elementi organici che seguono l’andamento più delle tensioni all’interno del corpo solido .  (Maillart, Nervi, Candela, Musmeci) ecc. Non a caso questo riconoscimento “tardivo” dei caratteri del calcestruzzo avverrà in aree di radicate tradizioni murarie.
Il passaggio fondamentale nel processo di riconoscimento del calcestruzzo come nuovo materiale è costituito dal modo di interpretare la collaborazione con l’armatura metallica. Nella prima fase, allo stesso modo nel quale si è “specializzata” la sezione metallica a doppio T rispetto a quella lignea, il calcestruzzo  si specializza per resistere alla sola sollecitazione di compressione, mentre al ferro viene affidata la resistenza a trazione. Solo successivamente si comprende la complessità dell’andamento delle tensioni su piani comunque inclinati all’interno del calcestruzzo e si introduce la staffa ed il ferro piegato, capaci di resistere alle tensioni di taglio.  Si scopre, in altri termini, il carattere potenzialmente organico del calcestruzzo, dove ogni parte collabora con l’altra trasmettendo con continuità le sollecitazioni. E si scopre come siano fondamentali nei sistemi in calcestruzzo armato, come in ogni sistema organico, la conguenza e proporzione tra le parti nel determinare il carattere dell’intero organismo. Quello che per gli sperimentatori dell’inizio del calcestruzzo armato era stato lo “spirito del carpentiere”, diviene lentamente lo spirito organico del muratore.


PROCESSO FORMATIVO DELLA COLLABORAZIONE TRA MATERIALI DI CARATTERISTICHE MECCANICHE COMPLEMENTARI : DALLA PIETRA ARMATA (FIG. IN ALTO) ALLA COLLABORAZIONE TRA LEGNO, GHISA E FERRO.

INTERPRETAZIONE ELASTICA DEL C.A. CON FORMAZIONE DEL TELAIO SERIALE E STRUTTURE A TRANSENNA (CHIUDENTI E NON PORTANTI)

INTERPRETAZIONE PLASTICA DEL C.A. CON FORMAZIONE DI STRUTTURE ORGANICHE COMPRESSE


TRANSENNA CONTEMPORANEA IN GKD

FACCIATE CONTEMPORANEE A CARATTERE PARZIALMENTE PLASTICO MURARIO

L’AMPLIAMENTO DEL CIMITERO DI TERNI



di Giuseppe Strappa

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in Oltre l’architettura moderna ,  «Quaderni di Ajòn», Firenze 2006

Il nuovo cimitero civico di Terni nasce dalla lettura dei tipi architettonici che la storia delle sepolture ha sedimentato nel corso del tempo e dalla riflessione sulla natura del luogo, un’area ancora rurale ai confini della città. Lettura che ha indicato l’idea di rendere evidente l’appartenenza delle nuove costruzioni alla vita urbana, allo stesso modo dei luoghi di sepoltura antichi attraverso i quali i cittadini, sepolti ad santos et apud ecclesiam, facevano ancora parte, in qualche modo, della vita pubblica con il ricordo del loro esempio, delle loro virtù e delle loro passioni.
Ma la città contemporanea, e forse la città di ogni tempo, non è il luogo sicuro, meno che mai del riposo sereno mentre la memoria, o meglio l’immaginazione,  associa la campagna umbra alla serenità del lavoro agricolo. Per questo l’immagine del nuovo cimitero di Terni è il prodotto di una diade di termini opposti e complementari: una parte di città e, insieme, un giardino protetto, dove le mura che separano la vastità del territorio esterno rivendicano il diritto delle memorie più care a restare al di qua del confine. Anche i grandi crateri esprimono, insieme all’allusione al ciclo agrario (al ritorno alla Terra Madre) la partecipazione alla memoria e al dolore collettivo.
La ratio generale è fondata sull’affinità, logica e storica, con i principi di trasformazione tipici, e ancora operanti, dei tessuti edilizi: su aggregazioni di elementi seriali unificati da percorsi, collaboranti a costituire organismo. La lettura dei processi formativi ha fornito, anche, preziose indicazioni sul carattere della costruzione. La scelta di strutture di tipo plastico-murario è legata alla nozione di “area culturale”, a quelle qualità specifiche che costituiscono uno dei fattori più vivi di continuità nelle comunità civili che hanno trasformato nei secoli questo territorio (se il termine non avesse dato luogo a infiniti equivoci si potrebbe parlare di una “coscienza spontanea” ancora operante).
La stessa, necessaria, continuità della costruzione murararia stabilisce,   all’interno delle pareti, forma e posizione degli elementi secondo un’organica gerarchizzazione tra le parti, che differenzia, ad esempio, la fascia basamentale dall’elevazione e dalla fascia di unificazione, (qui costituita dalla trave sagomata continua alla sommità della parete) in sintesi la porzione massiva e opaca dalla conclusione della copertura, leggera e trasparente.
Il nuovo cimitero è, dunque, del tutto convenzionale: la lingua che impiega deriva da codici comuni; le sue forme dalla profondità della storia, dove esistevano latenti, preformate, in attesa di essere portate alla luce. La selezione dei materiali (ed il linguaggio ad essi associato) ha tenuto semplicemente conto delle trasformazioni e aggiornamenti introdotti dalla modernità. Nella Terni contemporanea paesaggio industriale, tessuto urbano e mondo rurale sembrano avere insolitamente trovato, fin dalle trasformazioni ottocentesche, un modo di fondersi con qualche armonia, o almeno di convivere senza recarsi reciproche offese. Questa riflessione ha indotto ad apportare sostanziali modifiche ai disegni di concorso con l’introduzione delle coperture metalliche e delle bielle in ghisa che le sorreggono, e poi del carattere elastico delle torri per le scale, dove i telai   metallici sostengono le chiusure in mattoni.


gruppo di progettazione: Giuseppe Strappa (capogruppo), Tiziana Casatelli, Paola Di Giuliomaria, Mario Pisani, Elmo Timpani.