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LA CASA DI ABRAMO


di Giuseppe Strappa
in “Conoscersi e convivere” , N° 2, 2007
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Considerare l’architettura come linguaggio di pace, superando i rischi della retorica, è uno dei grandi temi che la Casa dell’Architettura di Roma propone da tempo.
La prima iniziativa presa in questa direzione è stata l’organizzazione nel 2006 (con la collaborazione dell’Ufficio per le Politiche della Multietnicità e la Casa delle Letterature) di due giornate di dibattito dedicate alla convivenza multietnica nel bacino del Mediterraneo: la prima incentrata sul tema dello spazio sacro nelle grandi religioni monoteiste (La Casa di Abramo, 23 giugno) e la seconda sul retroterra culturale che, per molti aspetti, accomuna le città mediterranee  (Un solo Mediterraneo, 24 giugno)
Gli incontri, come mostrano alcuni degli interventi svolti in quella occasione e che vengono pubblicati nelle pagine che seguono, si inserivano nel quadro di un programma della Casa dell’Architettura di Roma che mira a stabilire un terreno d’incontro non solo tra discipline, ma anche tra culture diverse in un periodo, come quello che stiamo vivendo, nel quale i conflitti tra comunità politico-religiose sembrano avere nel Mediterraneo uno dei centri focali.
Ci è sembrato allora opportuno, da architetti, mettere in evidenza i caratteri comuni del territorio e della città mediterranee.
Perché il Mediterraneo è sempre stato considerato, nel corso della storia, luogo di conflitti tra civiltà provenienti da territori lontanissimi: dalle steppe degli Altai, dalle sabbie dell’Arabia, dalle foreste del Nord Europa. Non è stato notato, invece, come l’architettura delle città mediterranee possa essere letta come espressione solare e ottimista della convivenza tra umanità diverse abbracciate da una comune cinta di mura.
Queste città dello scambio e della fusione finiscono per mostrare, se si guarda oltre la differenza delle architetture “alte” (dei palazzi, delle sinagoghe, delle moschee, delle chiese) uno stesso carattere riconoscibile, quasi una lingua condivisa dai tanti tessuti di semplici case della quale s’intuisce, attraverso l’emozione delle forme, una radice comune.
Il riconoscimento di questa impronta, evidente e concreta, è un dato assolutamente moderno: corrisponde al declino dell’interpretazione convenzionale del paesaggio mediterraneo che pittori e poeti avevano per lungo tempo identificato con l’eredità classica, idealizzata nella luminosità di trabeazioni e nella trasparenza di colonnati. Quando i viaggiatori, dopo la metà del’700, si spingono nell’Italia meridionale, si rivela, quasi d’improvviso e con radiosa evidenza, la natura di un territorio organicamente antropizzato, un mondo di murature massive e di case dalle piccole finestre. Volumi puri sotto la luce, solidi, stabili, continui, diffusi sull’intera costa del Mediterraneo.
Si scopre così come, anche in architettura, accanto alla lingua ufficiale esista un diffuso “parlato” quotidiano e come dietro l’immagine solenne di un tempio ionico (un lampo che rimane impresso nella retina e nella memoria proprio per la sua eccezionalità) viva una lingua plastica e muraria diffusa, trasmessa dal flusso inesauribile di pacifiche case a schiera o a corte che hanno formato l’essenza della città mediterranea
E comincia a formarsi, anche, la consapevolezza di una possibile, comune identità.
Comprendere queste radici significa anche capire come la ricostruzione dei territori palestinesi, ciprioti, israeliani, libanesi massacrati da anni di guerre, partecipi non solo delle stesse tragedie, ma anche di un fecondo lascito, di un sedimento comune costituito dalla forma delle case, delle città e del territorio.
In questo quadro il tema dello spazio sacro ha un ruolo del tutto particolare per la storia stessa delle grandi religioni monoteiste che si sono sviluppate nei paesi del Mediterraneo, le quali trovano un loro punto d’incontro proprio nell’architettura religiosa delle origini.
E’ vero che, nel corso del tempo, ognuno sembra aver letto nelle scritture della propria religione le conferme che andava cercando e la moschea, la sinagoga, la chiesa, sembrano oggi, considerate nei loro esisti architettonici, espressione di gelose diversità. Eppure, se si ripercorre il processo formativo della loro architettura, espresso simbolicamente in tutte le scritture, ma evidente anche nella concretezza del costruito, si scopre la loro origine comune nella casa. Origine che esprime i valori più profondi dello spirito religioso ebraico, islamico, cristiano: la pietas e la fratellanza tra gli uomini identificate nel gesto dell’accoglienza.
Dal confronto tra i diversi libri sacri, si scopre una comune, appassionata identificazione dell’architettura dello spazio domestico con l’idea del legame che può unire uomini diversi sotto uno stesso tetto. La tenda di Abramo costituisce l’espressione religiosa comune di questa casa delle origini, raccogliendo la poesia dello spazio protetto e, insieme, aperto al diverso, al viandante.
Nella Bibbia Abramo accoglie i tre viandanti che arrivano alle querce di Mamre sotto la propia tenda, dove prepara un banchetto per gli sconosciuti ospiti. Nella Torah la casa di Abramo è il simbolo stesso della chesed, dell’amore verso il prossimo. Nel Corano, nella sura di Imran, la Kaaba eretta da Abramo è “la prima casa costruita per l’uomo”, destinata a divenire “luogo di riunione e rifugio”.
Uno stesso spazio originario sembra dunque esprimere, insieme, lo spirito religioso e le radici comuni delle civiltà che si sono affacciate sulle rive del Mediterraneo.  Producendo forme murarie avvolte intorno ad una corte centrale, essenza della casa delle origini che darà vita a tanta architettura mediterranea.
Proprio a Roma queste radici comuni hanno trovato una sintesi straordinaria e vitale, l’alveo condiviso dove gli infiniti contributi regionali si sono trasformati in messaggio universale.
Per questo il riferimento alla casa di Abramo, evocata più volte nel corso degli incontri, sempre più frequenti a Roma, tra le comunità ebraica, islamica, cristiana, sembra un richiamo non solo ad un patrimonio comune, a tradizioni accolte come proprie da popoli diversissimi, ma anche al ruolo di generoso spazio dello scambio, di grande Casa comune del Mediterraneo, che la nostra città, ancora una volta, sembra chiamata a svolgere.

LA SVENDITA DEL FORO ITALICO

 

 

di Giuseppe Strappa

in «Corriere della Sera» del 11.04.2004

 

 

Ancora negli anni ’80, lo Stadio dei Marmi appariva al visitatore in tutta la sua sorprendente, metafisica astrattezza. Varcando l’ingresso dell’Accademia di Educazione Fisica incorniciato dal grande arco rosso pompeiano, si presentava la scena di uno stadio popolato di atleti pietrificati, sorpresi e fissati negli atti consueti delle attività sportive.

Le grandi statue si stagliavano ancora, bianchissime nel bagliore solare del marmo delle Apuane, contro la quinta verde della collina di Monte Mario. Ci vollero gli interventi per i Mondiali di calcio del ’90 e l’irruzione delle volgari strutture di copertura dell’Olimpico per distruggere il misterioso equilibrio del paesaggio disegnato da Del Debbio.

In realtà, a tre quarti di secolo dalla sua costruzione, il Foro Italico si presenta come un gigantesco monologo di marmo che riassorbe e unifica ogni singolo contributo: lo straordinario monumento all’altra faccia della modernità che non ammette alterazioni, il cui uso va dosato con la cura amorosa che si riserva alle architetture antiche.

Eppure i guasti del ’90 non hanno insegnato nulla e si prevedono altre distruzioni, cupamente annunciate dalla spirale di debiti nelle quali si avvitano le squadre di calcio e dalla disperata ricerca di risorse per risanarne i bilanci.

La lotta per il Campionato si combatte, ormai, a colpi di centinaia di milioni di euro. In questa selvaggia epopea d’indebitamenti vertiginosi e cinici eroi che si offrono al miglior offerente in condizioni di monopolio, salvare lo spettacolo globale diviene un drammatico problema di Stato.

Accade così che per alimentare questo voracissimo e chiassoso circo planetario si sia disposti a svendere la nostra eredità moderna. Perché di questo si tratta. Anche se nelle proposte che vengono presentate in questi giorni si assicura, ipocritamente, il rispetto delle architetture, i futuri gestori (finanzieri, squadre di calcio, imprenditori) parlano solo di poli di divertimento, centri per lo shopping, discoteche all’aria aperta, dove il “valore culturale” diviene un accenno rituale e grottesco.

Non un progetto che riguardi la reale salvaguardia delle architetture, non un piano credibile di tutela quando, già oggi, l’uso intensivo delle strutture del Foro continua a produrre danni irreparabili. Abbiamo visto tutti, su questo giornale, l’orrore sbattuto in prima pagina, i brandelli dei mosaici della Fontana della Sfera, fatti a pezzi nel corso dei tumulti seguiti al mancato incontro Roma-Lazio, raccolti in una carriola come in un pietoso sudario.

Certo, the show must go on e non sarà il rispetto per le architetture disegnate da Del Debbio o Moretti, per i mosaici di Rosso o Canevari che lo fermerà. Eppure la colossale massa di denaro che muoverà l’operazione “Città dello Sport” potrebbe, vorrei suggerire, non solo risanare i disastrati bilanci delle squadre capitoline, ma costituire anche l’occasione per realizzare nuove, scintillanti architetture “autenticamente contemporanee”. Ma il più lontano possibile dal Foro Italico.

PER UN MUSEO DELLA SHOAH. LA LEZIONE DI LIBESKIND.

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di Giuseppe Strappa

in “CORRIERE DELLA SERA” del 25.02.2004

Dalle finestre del mio liceo si intravedeva il cortile del carcere di via Tasso.

Alzando gli occhi dalle pagine di Ovidio appariva, chiara e terribile, la figura delle finestre chiuse da un tavolato che impediva la vista all’esterno lasciando passare sui margini, tuttavia, un po’ di luce e aria.

Alcuni professori ricordavano di aver ascoltato, anni prima, le grida dei torturati provenire da quelle stanze semibuie. Ma ne parlavano poco, quasi con pudore. Più ancora che ai pochi racconti, la coscienza della tragedia di via Tasso era associata, per me, alla forma di quelle finestre mute, al crudele diniego della vista, allo spazio lasciato immaginare e sadicamente impedito.

Quell’architettura minima della ferocia umana mi ha insegnato, prima che la logica lo spiegasse, il rifiuto di ogni fanatismo: è stato un antidoto contro ogni fuga dalla ragione e un buon viatico per la vita.
A molti anni di distanza, la visita al museo ebraico che Daniel Libeskind ha costruito a Berlino ha riacceso un analogo congegno percettivo: non è tanto il fiume d’informazioni contenute nelle teche, ma piuttosto il messaggio degli spazi (le ferite delle lamiere, il disequilibrio dei pavimenti, gli squarci improvvisi di luce dietro angoli misteriosi e notturni)  a offrire la cognizione della catastrofe.

Contro quel tanto di disumano e intollerante contenuto in ogni purezza (dell’architettura, dell’ideologia, delle religioni) qui le forme sono instabili e ipertrofiche, fantasmagoriche e pericolanti. I dettagli sporchi, i materiali montati senza cura apparente. Le geometrie dilaniate, alla deriva, tenute insieme da percorsi e flussi di emozioni spaziali che, come fasci nervosi, trasmettono il dolore, lo evocano e si fondono con esso.

In barba alle statistiche sull’antisemitismo, file di studenti di tutt’ Europa percorrono questa irripetibile scultura pedagogica che, al contrario delle lacerazioni senza oggetto di tanta avanguardia contemporanea, non ha tagliato il cordone ombelicale con i sentimenti più immediati e universali.

Il nuovo museo nazionale della Shoah che si dovrà costruire in Italia dovrebbe avere un ruolo analogo e per questo la decisione del governo di costruirlo a Ferrara lascia perplessi. Ferrara è certamente città di grandi tradizioni ebraiche, ma la sede naturale del nuovo museo, proprio perché espressione di una coscienza comune, dovrebbe essere accanto agli altri monumenti che hanno segnato la nostra storia e le nostre tragedie, dal Vittoriano alle Fosse Ardeatine.

Ma, se ormai questa decisione è stata presa, siamo ancora in tempo, tuttavia, per riflettere sulla costruzione del futuro Museo della Shoah romana. Cominciando col riconsiderare la proposta, un po’ rinunciataria, di utilizzare l’edificio esistente in via Capo d’Africa e valutando la possibilità di costruire un’architettura del tutto nuova, un monumento ebraico e romano, inevitabilmente distante dall’esempio berlinese per significato e linguaggio, ma ugualmente capace di trasmettere, attraverso la forma, la forza di un sentimento condiviso e l’ ammonizione che esso contiene.

L’AMPLIAMENTO DEL CIMITERO DI TERNI



di Giuseppe Strappa

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in Oltre l’architettura moderna ,  «Quaderni di Ajòn», Firenze 2006

Il nuovo cimitero civico di Terni nasce dalla lettura dei tipi architettonici che la storia delle sepolture ha sedimentato nel corso del tempo e dalla riflessione sulla natura del luogo, un’area ancora rurale ai confini della città. Lettura che ha indicato l’idea di rendere evidente l’appartenenza delle nuove costruzioni alla vita urbana, allo stesso modo dei luoghi di sepoltura antichi attraverso i quali i cittadini, sepolti ad santos et apud ecclesiam, facevano ancora parte, in qualche modo, della vita pubblica con il ricordo del loro esempio, delle loro virtù e delle loro passioni.
Ma la città contemporanea, e forse la città di ogni tempo, non è il luogo sicuro, meno che mai del riposo sereno mentre la memoria, o meglio l’immaginazione,  associa la campagna umbra alla serenità del lavoro agricolo. Per questo l’immagine del nuovo cimitero di Terni è il prodotto di una diade di termini opposti e complementari: una parte di città e, insieme, un giardino protetto, dove le mura che separano la vastità del territorio esterno rivendicano il diritto delle memorie più care a restare al di qua del confine. Anche i grandi crateri esprimono, insieme all’allusione al ciclo agrario (al ritorno alla Terra Madre) la partecipazione alla memoria e al dolore collettivo.
La ratio generale è fondata sull’affinità, logica e storica, con i principi di trasformazione tipici, e ancora operanti, dei tessuti edilizi: su aggregazioni di elementi seriali unificati da percorsi, collaboranti a costituire organismo. La lettura dei processi formativi ha fornito, anche, preziose indicazioni sul carattere della costruzione. La scelta di strutture di tipo plastico-murario è legata alla nozione di “area culturale”, a quelle qualità specifiche che costituiscono uno dei fattori più vivi di continuità nelle comunità civili che hanno trasformato nei secoli questo territorio (se il termine non avesse dato luogo a infiniti equivoci si potrebbe parlare di una “coscienza spontanea” ancora operante).
La stessa, necessaria, continuità della costruzione murararia stabilisce,   all’interno delle pareti, forma e posizione degli elementi secondo un’organica gerarchizzazione tra le parti, che differenzia, ad esempio, la fascia basamentale dall’elevazione e dalla fascia di unificazione, (qui costituita dalla trave sagomata continua alla sommità della parete) in sintesi la porzione massiva e opaca dalla conclusione della copertura, leggera e trasparente.
Il nuovo cimitero è, dunque, del tutto convenzionale: la lingua che impiega deriva da codici comuni; le sue forme dalla profondità della storia, dove esistevano latenti, preformate, in attesa di essere portate alla luce. La selezione dei materiali (ed il linguaggio ad essi associato) ha tenuto semplicemente conto delle trasformazioni e aggiornamenti introdotti dalla modernità. Nella Terni contemporanea paesaggio industriale, tessuto urbano e mondo rurale sembrano avere insolitamente trovato, fin dalle trasformazioni ottocentesche, un modo di fondersi con qualche armonia, o almeno di convivere senza recarsi reciproche offese. Questa riflessione ha indotto ad apportare sostanziali modifiche ai disegni di concorso con l’introduzione delle coperture metalliche e delle bielle in ghisa che le sorreggono, e poi del carattere elastico delle torri per le scale, dove i telai   metallici sostengono le chiusure in mattoni.


gruppo di progettazione: Giuseppe Strappa (capogruppo), Tiziana Casatelli, Paola Di Giuliomaria, Mario Pisani, Elmo Timpani.

ISUF Conference 2008 – Artimino (Carmignano, Prato) 21-23 November

“Landscape and urban form”

ISUF Conference 2008

ISUF will hold an international conference in Artimino, next to Florence, Italy, into the XVI century Medicean Villa, on 21, 22 and 23 of November. The broad theme of the conference will be “Landscape and urban form”. It is hoped that the conference will showcase current research and practice in urban morphology in relation to different international centres.

Urban Morphologists wishing to present a paper at the conference should contact Professor Gianluigi Maffei, Florence Faculty of Architecture, Department of Architectural Design, Viale Gramsci n°42, 50132 Firenze (e-mail: gianluigimaffei@libero.it). Proposals should have the following format: name of author(s), affiliation, postal address, e-mail address, telephon number, fax number, title of paper and an abstract of about 250 words. The deadline for the receipt of proposals is 1 July 2008.

The number of places at the conference will be limited and acceptance for attendance will be on a first come, first served basis. Placement on the programme will be communicated to applicants by 15 July 2008, and will be contingent upon advance registration. Details are available on ISUF’s website (www.urbanform.on) from 1 of April. Definitive papers should be submitted by 15 of September 2008.

The next meetings of ISUF’s Council and Editorial Board will take place during the conference. Any matters that members wish to bring to the attention of the Secretary-General, Prof. Nicola Marzot, should be communicated to him by e-mail at studioperforma.marzot@email.it (postal address: Faculty of Architecture, University of Ferrara, Via Quartieri n°8, 44100 Ferrara, Italy)

conference program

FRIDAY   21
2.00 – 4.00 p.m. – Registration
4.00 – 5.15 p.m. – UM Editorial Board (Members only:
Room B)
5.15 p.m.          – Welcome Coffee
– Inauguration of the Exhibition “Carmignano, its Territory and its Settlements”
5.15 – 6.30 p.m. – ISUF Council (Members only: Room B)

ROOM A
6.30-7.00 p.m. – Welcome remarks
– Doriano Cirri, Mayor of Carmignano
– Ulisse Tramonti, Director of Dipartimento di
Progettazione dell’Architettura, Università di Firenze
– Gian Luigi Maffei, President of ISUF
– Alessandro Merlo, President of CISPUT

7.00-7.45 p.m. Keynote lecture:
Urban forms and landscape: hard times, new issues?
Pier Giorgio Gerosa, Ècole Nationale Superieure
d’Architecture de Strasbourg, Strasbourg, France
8.30 p.m. – Dinner


SATURDAY   22

ROOM A
9.00-9.45 a.m – Keynote lecture:
Through the French urban landscape, and what can we find there
Michaël Darin, Ècole Nationale Superieure d’Architecture de Versailles, Versailles, France

ROOM B
9.45-10.45 a.m. – Chair: Jeremy Whitehand

Malignant land use/cover expansion in human communities
Warren M. Hern, Departement of Anthropology, University
of Colorado, Boulder, Colorado, USA

Planned cities and landscape: historic cases in Finland
Marjut Kirjakka, Helsinki, Finland

ROOM C
9.45-10.45 a.m. – Chair: Nicola Marzot

Inherited urban forms and the challenge of the twenty first century
Jorge Ricardo Ferreira Pinto, Faculdade de Letras da Universidade do Porto, Porto, Portugal

The urban spatial cycles related to economic cycles. Theoretical base for empirical research
Rozana Rivas de Araújo & Maria Alice  Lahorgue, Universidade Federal do Rio Grade do Sul, Porto Alegre, RS, Brazil

10.45 a.m.  –  Coffee break

ROOM B
11.00-12.00 a.m. – Chair: Jeremy Whitehand

Urban Morphology and landscape concepts as instruments for planning practices
Staël de Alvarenga Pereira Costa, Escola de Arquitetura, Departamento de Urbanismo, Universidade Federal de Minas Gerais, Belo Horizonte, MG, Brazil

Fringe belts and Green belts
Sigridur Kristjansdottir, Agricultural University of Iceland, Borgarnes, Iceland

ROOM C
11.00-12.00 a.m. – Chair: Nicola Marzot

New paradigms for the contemporary landscape: environmental planning and urban form in an Amazon town
Paolo L. Codo Dias & Lucia Capanema Alvares, Universidade Federal de Minas Gerais, Belo Horizonte, MG, Brazil

Crisis and new opportunities of Sardinian rural landscapes
Adriano Dessì, Dipartimento di Architettura – Università degli Studi di Cagliari, Cagliari, Italy

12.30 p.m  – Lunch

ROOM A
2.30-3.15 p.m. – Keynote lecture:
How growing cities internalize their old urban fringes
Michael Conzen, Committee on Geographical Studies, University of Chicago, Chicago, IL, USA

ROOM B
3.15-4.45 p.m. – Chair: Staël de Alvarenga Pereira Costa

Spatial culture related to the private and public planning of Aracaju (1855-2003)
Eder Donizeti da Silva & Adriana Dantas Nogueira, Federal University of Sergipe, Aracaju, Sergipe, Brazil

Detailed plan of the historical center: in the merit of the historical urban fabric
Pico Farnese
Paolo Carlotti, Facoltà di Architettura, Politecnico di Bari, Bari, Italy

The urban legislation and morphology of Moema (São Paulo, Brazil)
Denise Antonucci, FAU, Universidade Presbiteriana Mackenzie, São Paulo, SP, Brazil

ROOM C
3.15-4.45 p.m. – Chair: Shigeru Sato

Mapping Urban Symbolic Order
Ana Paula Polidori Zechlinski & Romulo Krafta, Federal University of Rio Grande do Sul, Porto Alegre, RS, Brazil

A methodology for eliciting the public multi-sensory image of urban open spaces
Paula Barros, Oxford Brookes University, Belo Horizonte, MG, Brazil

Landscape and urban form. Linguistical components of settlement types
Mario Gallarati, Studio Architettura Gallarati, Genova, Italy

4.45 p.m. –  Coffee break

ROOM B
5.00-6.30 p.m. – Chair: Staël de Alvarenga Pereira Costa

Sustainable transport modes: a solution of transport dilemma in Auckland
Ning Huang & Robert Vale, School of Architecture and Planning, University of Auckland, Auckland, New Zealand

Disperse Urbanization in Região dos Lagos: a case study
Gabriela Campos, Michele Coyunji & Werther Holzer, Universidade Federal Fluminense, Niterói, RJ, Brazil

The international influences on the planning of Abuja, the new capital of Nigeria
Jurgen Lafrenz, Universitat Hamburg, Hamburg, Germany

ROOM C
5.00-7.00 p.m. – Chair: Shigeru Sato

The concept of ‘Cultural Region’. Between landscape and urban form: the Emilian case-study
Marco Maretto, Dipartimento di Ingegneria Civile, dell’Ambiente, del Territorio e Architettura, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di Parma, Parma, Italy

A study on the interaction between town layout and nature: the urban landscape of Maringá, Brasil
Karin Schwabe Meneguetti & Renato Leão Rego, Departamento de Arquitetura e Urbanismo, Universidade Estadual de Maringá, Maringá, PR, Brasil

Village-scape and morphology: a study on Chinese historic villages
Sheng Ying, Shanghai Tongji Urban Planning & Design Institute, Shanghai, China

Urban morphology and planning: exploring the fringe-belt concept in Auckland, New Zealand
Kai Gu,  School of Architecture and Planning,
University of Auckland, Auckland, New Zealand

8.00 p.m. – Gala dinner

SUNDAY  23

ROOM A
9.00-9.45 a.m – Keynote lecture:
The concept of territory of the Muratorian school
Attilio Petruccioli, Facoltà di Architettura, Politecnico di Bari, Bari, Italy

ROOM B
9.45-10.45 a.m. – Chair: Giuseppe Strappa

Lhasa: urban morphology in transit
Amund Sinding-Larsen, Norwegian University and Science, Trondheim, Norway

Iugeral models for the park of the aquaeducti aniensi: a new archaeological restraint. Castel Madama (Rome) Italy
Alessandro Camiz, Università di Roma ‘La Sapienza’, Facoltà di Architettura ‘Valle Giulia’, Roma, Italy

ROOM C
9.45-10.45 a.m. – Chair: Michael Barke

The morphological aspects of the construction of Lisbon’s landscape territory: Urban Form vs. Cultural identity in the county of Cascais
Maria Amelia Cabrita & Teresa Marat-Mendes, ISCTE, Department of Architecture and Urbanism, Lisboa, Portugal

Urban landscape and the new suburbs in Rio de Janeiro, Brazil
Maria Marta dos Santos Camisassa, Universidade Federal de Vicosa, Vicosa, MG, Brazil

10.45 a.m.  –  Coffee break

ROOM B
11.00-12.30 a.m. Chair: Giuseppe Strappa

The mediterranean city of Parga in Epyro, process of development from the past to the future next
Marilena Novelli & Enrico Genovesi, Facoltà di Architettura L. Quaroni, Università ‘La Sapienza’, Roma, Italy

Contemporary urbanism and urban morphology in the cities of north of Portugal (1852-1926)
Mário Gonçalves Fernandes, Departamento de Geografia, Faculdade de Letras da Universidade do Porto, Porto, Portugal

The transformation of the urban tissue in the Tetrarchy imperial residencies
Giacomo Gallarati, Facoltà di Architettura, Genova, Italy

ROOM C
11.00-12.30 a.m. – Chair: Michael Barke

Transformation coastal process along the ‘Salpi’ Lagoon. From the Urban structure of Margherita di Savoia to the develop of the agricultural housing on the sand bar
Giuseppe Francesco Rociola, Politecnico di Bari, Bari, Italy

Afonso Pena Avenue: between the creek and the mountain range
Bernardo Nogueira Capute, Camila Marques Zyngier & Paula Balli Cury, Belo Horizonte, MG, Brazil

Reading-study and project for the historical centre of Castel Madama (Rome, Italy) and its territory
Alessandro Franchetti Pardo, Università di Roma ‘La Sapienza’, Facoltà di Architettura ‘Valle Giulia’, Roma, Italy

ROOM A
12.30-1.30 p.m. – President:  Gian Luigi Maffei
ISUF general meeting and conclusion

1.30 p.m. –   Final lunch