Esami Strappa

L’esame del laboratorio 2 del prof. G. Strappa
si terrà VENERDI’ 25 FEBBRAIO 2011
dalle ore 10,00
in aula 9

per sostenere l’esame occorre registrarsi sul portale INFOSTUD
https://stud.infostud.uniroma1.it:4445/Sest/Log/Corpo.html

si raccomanda, per una eventuale mostra dei lavori, di portare all’esame, oltre al book di tutte le esercitazione e degli schizzi preparatori,  un DVD o CD ROM contenente  tutte le tavole d’esame nel loro formato (A1), non i DWG di autocad o il PDF, ma una immagine raster della tavola in formato JPEG o TIFF a colori (300 dpi) e scrivendo sulla copertina il proprio nome, corso, seminario, titolo progetto, email e telefono.

Terza esercitazione caratteri tipologici corsi A e B

Il tessuto edificato di San Lorenzo, pur essendosi formato al di fuori di ogni pianificazione e per logiche speculative, risente dell’impostazione urbanistica ottocentesca con una maglia ortogonale che ha generato isolati composti da parcelle in linea. L’area di intervento è definita dagli assi stradali di via dei Reti, via dei Sabelli e via dei Volsci, ed è costituita da edilizia frammentata di scarsa entità. Nella vigente pianificazione, è prevista l’apertura di una nuova strada, parallela a via dei Reti, per potenziare il collegamento fra lo scalo San Lorenzo e Piazzale del Verano. Si verrebbe così a configurare isolato, che supponiamo sgombro da preesistenze, da edificare, in continuità con il tessuto del quartiere, con tipologie a linea.

1) Nella prima parte dell’esercitazione bisogna individuare il percorso matrice considerando che Via dei Sabelli è una strada consolidata e con alcune attività commerciali e che sulla strada di previsione verrà spostato la maggior parte del traffico veicolare. E’ possibile considerarle entrambi come percorso matrice.

2) La seconda fase (impianto) comporta la saturazione con tipologie in linea dei percorsi ortogonali a Via dei Reti

3)Terza fase di edificazione sul percorso di collegamento tra i diversi percorsi di impianto. (solo se si identifica un solo percorso matrice)

4) La quarta fase edificatoria riguarda la specializzazione delle tipologie in linea d’angolo. In seguito alle scelte operate sono possibili più soluzioni. Nel caso in cui sia stato scelto di attribuire a entrambi i percorsi (via dei Reti e la strada di previsione) la valenza di percorsi matrice le soluzioni d’angolo risentiranno di questa scelta di impostazione tendendo a comportarsi in maniera simmetrica rispetto l’asse verticale dell’isolato. Nel caso opposto, dando valenza di percorso matrice o a via dei Reti o alla strada di nuova edificazione, le soluzioni d’angolo risentiranno delle preesistenze (fase 3) dando vita a soluzioni più variate.

esercitazione3

Seconda esercitazione caratteri tipologici corsi A e B

Scopo dell’esercitazione è l’applicazione delle nozioni di processo e organismo aggregativo acquisite nel primo ciclo di lezioni. L’area oggetto dell’esercitazione è quella di piazza della Moretta lungo via Giulia a Roma in una zona inedificata risultante da demolizioni avvenute nel 1931. Si ipotizza di ricucire il tessuto mediante la riedificazione di due degli isolati demoliti secondo la loro configurazione planimetrica ante 1931. Il tessuto, fortemente densificato è composto oggi da case a schiera, pseudoschiera e palazzi, deriva dal processo di trasformazione delle domus con cui si ritiene fosse edificata gran parte dell’ansa del Tevere nella zona libera dai resti degli edifici specialistici di epoca romana. Si dovrà eseguire la riprogettazione di tali isolati partendo dalla supposta permanenza del sostrato tipologico delle domus anche dopo la costruzione del tracciato cinquecentesco di via Giulia rispetto al quale i percorsi di adduzione al fiume sono precedenti. Gli isolati sono così definiti da vicolo delle prigioni, da vicolo della padella e da vicolo dello Struzzo (da pensare ricostituiti). Si possono riutilizzare i criteri di alcune esercitazioni eseguite in precedenza, con l’avvertenza che le aree sono ora leggermente irregolari.
Si tenga conto, in proposito, che l’edificazione delle domus avviene prevalentemente attraverso pareti murarie ortogonali o parallele ai percorsi di accesso fatto salvo il fronte su via Giulia che, in quanto percorso di ristrutturazione, ha il fronte non ortogonale ai muri interni alle abitazioni. Queste peraltro, in virtù dell’importanza di via Giulia, assumeranno carattere speciale (palazzetti, alberghi ecc.). Anche il fronte opposto, verso il Tevere, (sul proseguimento di via della Bravaria) presenta irregolarità planimetriche dovute al percorso lungofiume, imponendo delle varianti tipologiche.

via-giulia-aerea-2-400x238

In definitiva, supposta come data la lottizzazione degli isolati composti da recinti di domus con un fronte di 15m circa (3 cellule), si devono prevedere seguendo la griglia allegata, le seguenti fasi:

1.Prima fase: edificazione secondo il tipo con le relative varianti sincroniche da posizione. Si tenga conto dell’isorientamento delle domus ma anche se del caso, del prevalere della gerarchia dei percorsi e delle varianti da posizione (fronti ed angoli su via Giulia).

2.Seconda fase: utilizzo del fronte. Tabernizzazione.

3.Terza fase: incremento delle cellule su un margine.

4.Quarta fase: Completo addossamento delle cellule sui muri del recinto (densificazione): Insulizzazione e formazione delle pseudoschiere con apertura del recito

Nella dalla quarta fase si introduce ovviamente l’aggiornamento e trasformazione del tessuto alle condizioni contemporanee con:

maggi-1625-ridotta

a.    Introduzione di tipi edilizi aggiornati ed adatti ad un tessuto fortemente densificato in alcune parti.  Si può prevedere una trasformazione dei parte del tessuto in case in linea o in palazzo.
b.    Previsione di eventuali spazi pubblici in corrispondenza di eventuali servizi.
c.    Impiego di materiali e tecniche costruttive contemporanee e congruenti col luogo.
Non è necessario disegnare entrambi gli isolati (uno dei due può essere solo accennato).

viagiulia-falda01ridotta
Le scale da impiegare e il livello di approfondimento sono a discrezione dello studente, purchè venga rispettato il formato usuale delle tavole (A3).
Si può montare la planimetria definitiva sulla planimetria che trovate in questa pagina (rilievo dei piani terreni – cliccare sul disegno e poi ingrandire).

area-esercitazione-2-400x281
tavola-esercitazione-corso-caratteri1-400x280

L’UTILITA’ DI PROGETTARE NEI CONTESTI STORICI

trani-a rosy-prospetto-400x282

Progetti di studenti nel centro storico di Trani e recupero di strutture in c.a. a Castelluccio Superiore

Giuseppe Strappa,  in “Il progetto nel contesto storicizzato” , Atti del convegno di Aramo, 17 maggio 2008,
a cura di Alessandro Merlo e Gaia Lavoratti, Firenze 2009

Vivere il paesaggio costruito di Aramo, “praticarne” le pietre, le murature, le costruzioni, costituisce già, credo, una buona lezione di architettura. Si comprende, dal vivo, come questa si formi per stratificazioni successive, attraverso un processo di mutazioni spiegabili con la logica elementare ed evidente della necessità che ogni organismo richiede per vivere e modificarsi nel tempo. Trasformazioni, altra nozione utilissima per il progetto, operate dagli abitanti a partire da un primo impianto che costituisce una fondazione e, insieme, una sorta di canovaccio, un’ipotesi di lavoro sulla quale costruire nel tempo l’aggregato futuro.
Si capisce anche come perfino quando (è il caso delle dieci Castella dell’area pesciatina) le decisioni su quest’impianto sono prese da un potere estraneo e sembrano appartenere solo al mondo lontano delle tecniche militari, la coscienza del costruttore finisce per adeguare le scelte alle condizioni fisiche del luogo, alla propria esperienza della terra e della vita che vi scorre. Le “addomestica”: le riporta cioè, nel senso etimologico del termine, alla confidenza della casa, instaura quel rapporto di calda familiarità tra costruzione, suolo e cultura che è il fondamento di ogni modificazione organica del territorio. E non è un caso che l’edilizia speciale e quella di base condividano, ad Aramo, una stessa misura dello spazio, le stesse dimensioni fondamentali che ricordano come qualsiasi grandezza del costruito ritorni, attraverso percorsi e cicli a volte misteriosi, all’origine del primo spazio abitato dall’uomo. Perfino l’impianto della chiesa di S. Frediano, sebbene di tanto seriore rispetto alla strutturazione dell’organismo insediativo, partecipa della stessa, domestica modularità condivisa delle case a schiera del borgo.
Ma è vero anche quello che scrive, su queste pagine, Maurizio Ciumei partendo da un testo di Claudio Magris: questi spazi, le forme che ne rendono visibile e bella la struttura, sono oggi “invasi”.
Noi in-vadiamo, cioè andiamo contro, quello che pure ammiriamo.
Ognuno di noi possiede una parte della rovinosa disposizione del barone von R. di Hoffmann: osservando un paesaggio costruito, tanto perfetto quanto distante, tendiamo a mettere al centro dell’osservazione i nostri desideri e le nostre attese, ne modifichiamo i contorni secondo una prospettiva privilegiata. Magari non abbattiamo gli ostacoli che si frappongono tra l’osservatore e la cosa osservata come il barone hoffmanniano, ma applichiamo quei principi romantici del pittoresco, fondamento del turismo e, insieme, di tanta parte dell’architettura moderna, che deforma la realtà costruita riportandola a quello che vorremmo che fosse.
Tra queste molte invasioni, quella operata dal progetto di architettura svolge un ruolo del tutto esemplare. Si noti, per convincersene, come non esista progettista che non affermi di aver profuso, nel disegno di una nuova costruzione, grande attenzione per quanto già esiste. E forse, per quanto siano sconsideratamente dirompenti o, al contrario, banalmente imitative le forme impiegate nei confronti dell’esistente, quello che dice è vero. Eppure non c’è progetto che non usurpi, facendo perdere loro qualche qualità, i caratteri storici e paesistici dei luoghi nei quali si pone. Se si rileggono le osservazioni dell’Adolf Loos di Parole nel vuoto sulle costruzioni che gli architetti inseriscono nel contesto, si vedrà che quest’osservazione è tutt’altro che polemica, che giace da tempo, accuratamente nascosta, negli strati profondi della coscienza moderna.
In realtà la radice del problema, credo, è il modo attuale, ancora tardo romantico (e che pure la critica considera come valore in sé) di vedere il mondo secondo una propria gelosa individualità. Una ragione che può essere riconosciuta nell’essenza stessa del progetto contemporaneo, se si considera che non solo nei tessuti premoderni l’edilizia di base non veniva progettata, ma fino a tempi recenti si continuava a costruire per lo più in base alla nozione vigente di casa consolidata dalla prassi edilizia e dall’esperienza abitativa. In qualche modo il progetto di case ed aggregati edilizi non era antecedente al costruito, ma nasceva con esso, emergeva, per così dire, dai depositi di una memoria condivisa. E’ noto, peraltro, come anche in molta edilizia specialistica del passato il progetto costituiva parte integrante della costruzione stessa costituendo la pro-iezione di disegni in scala reale, tracciati sul suolo del cantiere, ai quali gli elementi, anche se costruiti altrove, si sovrapponevano preformando una struttura che veniva poi “pro-iettata”, gettata nello spazio a costruire la forma. Un’idea della continuità di questo rapporto solidale tra edificio speciale e struttura statico-costruttiva si può avere pensando alle opere della grande ingegneria moderna, dalle realizzazioni ispirate dall’insegnamento dell’ École des ponts et chaussées fino alle sperimentazioni italiane del secondo dopoguerra sull’impiego del calcestruzzo armato in strutture a carattere organico.
A quest’adesione condivisa del soggetto operante con l’oggetto del proprio lavoro, con la fisicità oggettiva della costruzione, si è sostituito un rapporto sempre più individuale, astratto e distante. Il progetto contemporaneo ha finito così per possedere una propria totale autonomia rispetto alla realtà fisica, fino ad appartenere, oggi, ad un circuito immateriale dove ogni progetto rimanda non al costruito reale, ma ad altri progetti altrettanto astratti e senza luogo. Non si tratta più, si badi, dell’”esportabilità” del disegno architettonico di cui parlava Gianfranco Caniggia, degli scambi tra aree che hanno portato a fertili innovazioni, dal gotico fiorentino al moderno classicismo nordico: è la stessa nozione di area culturale ad entrare in crisi.
Riprendendo un paragone esposto nelle pagine precedenti con molta chiarezza da Giancarlo Cataldi, non siamo più di fronte a quegli scambi tra culture che hanno portato alla formazione delle lingue nazionali, dove anche il dialetto aveva una funzione di contributo innovatore. Ci avviamo, ormai, verso l’impiego di una lingua metastorica e senza luogo, un inglese semplificato, asettico e cavo, predisposto ad accogliere ogni neologismo, non importa se proveniente da Silicon Valley o dalla borsa di Shanghai. E, intanto, i generi, in architettura, sono scomparsi e perfino per l’edilizia di base è considerata disdicevole la descrizione della prosa, essendogli di gran lunga preferita una onnipresente “poesia”, mediatica e spesso goffamente spettacolare. L’aspirazione pasoliniana alle “piccole patrie”, dove anche isole come la lenga furlana avrebbero trovato spazio e dignità, si è del resto trasformata, in tutta Europa, in egoismi etnici che reclamano confini, provocano divisioni e conflitti.
E’ con gli occhi rivolti a questo mondo in cui alla totale omologazione sembrano contrapporsi solo miti regressivi, dunque, che l’architetto contemporaneo invade gli ultimi santuari della cultura ereditata. Ed è in queste condizioni si tende a riportare un patrimonio prezioso, attraverso il turismo o per mezzo dell’architettura, con la disinvolta giustificazione dell’abbandono in cui versa, nel grande circo del consumo universale.
In questo quadro di totale perdita della nozione di processo, l’interpretazione neo-pittoresca del costruito storico suggerisce di solito l’idea di una casualità latente, di strutture irripetibili che hanno assunto la forma attuale “degna di essere dipinta”, appunto, ma che avrebbero potuto assumerne infinite altre. La qual cosa contiene certamente una parte di verità del tutto inutile, tuttavia, al progetto. Nascondendo, invece, quella parte di verità che sarebbe indispensabile per capire e progettare il nuovo, la regola individuata nella formazione e trasformazione della realtà costruita che consente di apprezzare, anche, la ricchezza della vita di tessuti ed edifici attraverso le sue infinite deroghe. Sintetizzare gli aspetti essenziali di un intorno civile non significa, infatti, comprenderne solo le fasi eccezionali che colpiscono l’immaginazione e riempiono le storie (le rotture, i rivolgimenti, le conquiste) ma, soprattutto, il ben più duraturo e lento svolgersi della vita quotidiana, ricercare quei principi generali che esprimono, attraverso la varietà degli esiti, l’eterno contrasto che contrappone al fluire della vita, con i suoi aspetti a volte accidentali e misteriosi, alla volontà di spiegarne ragioni e senso.
Nell’ansia del risultato unico ed irripetibile, ottenuto attraverso l’artificiale casualità di meccanismi d’invenzione gelosamente coltivati, i progetti contemporanei finiscono quasi sempre, al contrario, per essere tutti somiglianti tra loro senza che alcun principio comune ne spieghi la similitudine, se non una stessa ricerca di diversità, come una rivoluzione che abbia dimenticato, nella preoccupazione del cambiamento, la spiegazione dei propri fini.
Credo che un ruolo importante svolga, nella formazione di queste condizioni di progetto, la smisurata disponibilità di risorse e l’ estesa dilapidazione di ricchezza che caratterizza le società affluenti del mondo occidentale. L’affrancamento dai vincoli imposti dal bisogno, che obbligavano a rapporti di elementare necessità tra le cose, ha finito col produrre il decadimento dei nessi che contribuiscono a spiegare come si sviluppino ed applichino le leggi di proporzione e congruenza tra gli elementi che compongono un edificio, un aggregato edilizio, una città. Per questa via il principio di giusta proporzione dei mezzi impiegati rispetto ai fini da raggiungere sta perdendo il ruolo fondante che pure ha avuto per secoli nella pratica progettuale. Si sta smarrendo, anche, l’etica del buon uso delle risorse che coincide, insieme, con l’arte del saper ben progettare e ben costruire. E, forse, proprio le inedite concentrazioni di ricchezze nelle aree egemoni del mondo, permettendo la progressiva liberazione dalle necessità economiche, mito di ogni ideologia, diverranno il grande problema del futuro, togliendo senso alla logica della costruzione e all’equilibrio del territorio. Le nozioni di tipo, organismo, processo, divengono così, da necessità, scelta consapevole quanto difficile.
Per questo credo che dovremmo indicare di continuo ai nostri studenti di progettazione lo studio, troppo spesso lasciato alle sole discipline storiche e di restauro, di organismi formatisi attraverso processi ininterrotti di correzioni ed aggiornamenti i quali testimoniano come l’uso sapiente e proporzionato delle risorse produca anche bellezza.
Certo, nel quadro generale che abbiamo indicato, un seminario che, come quello di Aramo, proponga il tema del progetto e della contemporanea lettura di un contesto storicizzato può risultare eccentrico, inattuale. Nell’età dei media e della globalizzazione non è agevole parlare di caratteri condivisi e di organicità alle diverse scale. Eppure ritengo che oggi ci sia bisogno di inattualità, che proprio da questo guardare con occhi nuovi al passato cercando di comprendere le ragioni formative delle cose oltre la loro superficie, possa provenire uno dei pochi mezzi di innovazione e critica alle condizioni del progetto contemporaneo; che proprio la distanza dalle condizioni generali del dibattito architettonico (stancamente) in corso possa risultare, alla fine, feconda, visto che i nostri contemporanei sono troppo simili a noi perché possano insegnarci qualcosa.
Come ho potuto riscontrare anche in altre occasioni, con i seminari tenuti nel vivo dei tessuti storici a Trani, La Valletta, Urfa, Bahia, Castel Madama, progettare partendo non da cartografie, descrizioni, sopralluoghi, ma leggendo dal vivo la cosa progettata, è un modo di riproporre il contatto diretto con la verità fisica della costruzione e del suo processo formativo: è una maniera di riportare i problemi “alle cose stesse” da cui derivano, superando l’astrazione della rappresentazione mediata e delle incerte deduzioni che ne derivano. E in questo senso, va detto, i risultati grafici conseguiti dai seminari condotti sul campo, che non sempre hanno i tempi necessari a lasciar “decantare” il progetto, non danno sempre conto dell’insegnamento profondo che da queste esperienze proviene.
Una lezione ricavata dalla lettura di un tessuto storico come quello di Aramo può avere inizio, mi pare, dai modi stessi nei quali l’architettura viene consumata. Il termine “consumo” non ha nulla a che vedere oggi, infatti, con trasformazione civile, funzionale e fisico di una forma, che termina un suo ciclo per iniziarne un altro, ma ha trasformato il proprio significato in richiesta imposta dalla rapidità dei cicli produttivi, della pubblicità, delle mode.
Proprio la lettura ed il progetto in contesti che mantengono un forte legame col proprio processo formativo sono di fondamentale importanza, ritengo, per riscoprire l’insegnamento dei tempi “naturali” di trasformazione e consumo delle forme degli organismi edilizi ed urbani. Tempi che sono pertinenti alle diverse fasi civili e che è un errore tentare di eludere nascondendosi dietro assunti apparentemente scontati ma, in realtà, indimostrabili.
L’idea che la velocità imposta dal progresso, ad esempio, debba comportare l’abbandono del carattere plastico e murario (che non è semplicemente costruzione in muratura) del nostro ambiente costruito, inseguendo modelli “leggeri” sviluppati, peraltro con qualche coerenza, in aree culturali estranee e lontane. O quella che compito della nuova architettura sia quello di produrre bisogni per assicurare il proprio sollecito rinnovamento, in modo non diverso da quanto avviene per le merci.
L’interesse dell’edilizia di Aramo e la vitalità del suo insegnamento derivano, dunque, da una nozione processuale di consumo (dell’edilizia speciale, della casa a schiera con le specializzazioni e gerarchizzazioni successive) alla quale corrisponde una continua capacità di aggiornamento e recupero nel tempo. Aggiornamento e recupero che oggi non possono che essere inevitabilmente critici: mi pare, anzi, che una delle ricadute positive del seminario sia costituita proprio dalla dimostrazione di come la lettura, anche quando condivisa, non liberi il progettista dalle proprie responsabilità, che ogni soluzione non possa che costituire, nelle condizioni di crisi nelle quali siamo tenuti a progettare, prodotto di coscienza critica.
Il progetto elaborato dal gruppo guidato da Giacomo Gallarati e Marco Zuppiroli mostrato in queste pagine, ad esempio, espone la diversità degli esiti, peraltro tutt’altro che inconciliabili, all’interno di una lettura comune. Le regole d’accrescimento dell’insediamento di Aramo ( le “leggi del divenire dell’edilizia”), sono riconosciute negli organismi insediativi sintopici dell’area pesciatina, condivise da tanti insediamenti di crinale dell’Italia centrale dove l’organismo insediativo si forma attraverso accrescimenti concentrici intorno al percorso matrice di crinale e, raggiunta la propria completezza, la forma finita d’individuo urbano, si raddoppia per gemmazione. Ma quando questa conclusione è stata raggiunta? Quale forma assume la polarità che individua la linea di ribaltamento da cui si genera il nuovo organismo? E quale edilizia speciale la denoterà? La lettura, anche se condotta per via comparativa su casi di studio affini, non da risposte (o meglio, presenta un ventaglio di soluzioni possibili, ognuna soggetta, a sua volta, a molte interpretazioni) ponendo l’eterno quesito del rapporto non solo tra lettura e progetto, ma tra teoria e prassi. Dimostrando, anche, la ricchezza e le potenzialità del metodo tipologico-processuale, al di là dell’apparente determinismo che ha generato infiniti equivoci. A parte la provvisorietà dimostrativa delle soluzioni (che è interna allo spirito di un seminario e alle intenzioni stesse degli autori), i disegni sembrano proporre un fertile dubbio più che una soluzione, presentando due criteri d’intervento possibili. E va notato, a proposito della (relativa) convergenza della lettura e della molteplicità del progetto, come altri gruppi, come quello della Facoltà d’Ingegneria di Bologna guidato da Giorgio Praderio e Luigi Bartolomei, abbiano seguito ipotesi simili con esiti molto diversi dai precedenti.
Certo, nella tradizione della “riprogettazione” come metodo d’indagine sulla realtà costruita, si sarebbero potute sondare molte altre soluzioni e sono certo che non mancheranno occasioni per continuare lo studio progettuale sull’insediamento di Aramo che Alessandro Merlo ha organizzato con tanta capacità e passione.
Ma a me pare che già la preziosa esperienza di questo seminario possa aver contribuito ad insegnare allo studente libero da pregiudizi a riconoscere quei caratteri di organicità della realtà costruita che, necessariamente aggiornati, sono ancora capaci di fornire indicazioni ai frammenti dispersi del nostro territorio. E magari possa anche aver concorso a fargli intuire, nel pessimismo dilagante, lo spiraglio del cambiamento, a fargli balenare l’ipotesi, autenticamente nuova, di poter leggere nell’indistinto apparente che caratterizza i disastri di tante trasformazioni contemporanee del nostro territorio, i segni nascosti di un ordine ancora possibile.

esercitazione caratteri tipologici A e B

Riprogettazione e aggiornamento dei tessuti nell’area indicata nella planimetria.

Scopo dell’esercitazione è l’applicazione delle nozioni di processo e organismo aggregativo acquisite nel primo ciclo di lezioni. Come si vede dalla planimetria il tessuto è originato dall’edificazione di case a schiera in una prima fase sul percorso di via della Lungara e poi sui percorsi d’impianto ad essa ortogonali. Il tessuto non è formato che in parte in corrispondenza del percorso di collegamento per la presenza delle pendici del Gianicolo, mentre sull’importante collegamento di via della Lungara (polarizzato dalla Porta Settimiana e collegante l’area vaticana) il tessuto si è trasformato nel tempo, in parte, in palazzi.
Si dovrà eseguire la riprogettazione di un tessuto nell’area, supposta libera, della planimetria assegnata partendo dalla ricostruzione delle diverse fasi costruttive che si possono ipotizzare sul luogo. Si arriverà, quindi, alla fase conclusiva per gradi, come sintesi provvisoria di un processo di trasformazione in atto.
Si possono riutilizzare i criteri di alcune esercitazioni eseguite in precedenza, con l’avvertenza che le aree sono ora leggermente irregolari.
Si tenga conto, in proposito, che l’edificazione delle unità di schiera avviene prevalentemente attraverso pareti murarie ortogonali o parallele al percorso, concentrando le irregolarità nei nodi che, per questa ragione, divengono particolarmente complessi.
Si debbono prevedere, seguendo la griglia allegata, le seguenti fasi:
1.    prima fase di edificazione su via della Lungara (percorso matrice): case a schiera individuanti il tipo portante e le varianti sincroniche di posizione.
2.    seconda fase di edific. sui percorsi ortogonali a via della Lungara (fase di impianto) con formazione delle varianti di intasamento.

Sopra, stralcio dalla pianta di Giovanni Maggi, 1625 (si noti la formazione del tessuto di schiere sul percorso matrice). Sotto, stralcio dalla pianta di Giovan Battista Nolli, 1748 (si noti la formazione del tessuto sul percorso d’impianto, in aprte già specializzato, con assenza di costruito sui percorsi di collegamento in formazione.)

3.    terza fase di edificazione  sui percorsi di collegamento tra i diversi percorsi di impianto. Questa fase, in realtà, può non realizzarsi perché, come dimostra la cartografia storica (ad esempio la pianta di Giovan Battista Nolli) e l’evidenza del costruito, il tessuto tra la Lungara e le pendici del Gianicolo è rimasto spesso incompleto, mancando l’edificazione su percorso di collegamento. In questo caso la terza fase si riduce ad un primo aggiornamento dei tipi edilizi che precede la fase contemporanea, con introduzione di rifusioni, case in linea ecc.
4.   quarta fase di aggiornamento e trasformazione del tessuto alle condizioni contemporanee con:
a.    introduzione di eventuali percorsi di ristrutturazione paralleli a via della Lungara che riducano la profondità degli isolati
b.    introduzione di tipi edilizi aggiornati ed adatti ad un tessuto fortemente densificato in alcune parti.  Si può prevedere una trasformazione dei parte del tessuto in case in linea o in palazzo.
c.    Previsione di eventuali spazi pubblici in corrispondenza di eventuali servizi ipotizzando che la parte residua del carcere di Regina Coeli venga riutilizzata per strutture culturali
d.    Impiego di materiali e tecniche costruttive contemporanee e congruenti col luogo.
Non è necessario disegnare entrambi gli isolati (uno dei due può essere solo accennato).
Le scale da impiegare e il livello di approfondimento sono a discrezione dello studente, purchè venga rispettato il formato usuale delle tavole (A3).
Si può montare la planimetria definitiva sulla planimetria che trovate in questa pagina (rilievo dei piani terreni – cliccare sul disegno e poi ingrandire) e la planimetria generale con le ombre sulle foto aeree da scaricare da Google Earth. Da questo sito si possono anche ottenere facilmente le misure.

Alcune notizie sul luogo con i disegni di Giuseppe Vasi dei monumenti principali e riferimenti alla pianta del Nolli si trovano nel sito www.romeartlover.it/Day6.htm.  Alcuni lavori di studenti, svolti su un tema analogo a quello dell’esercitazione qualche anno fa, si trova nel sito  http://icar.poliba.it/ (poi “didattica”, poi “laboratorio 2a” poi “archivio”, poi “2001” o “2002”).
Per qualsiasi chiarimento non esitate a fare domande sul forum del corso.

fare click sull’immagine per ingrandire