Progetti area Mandracchio
Progetti area edilizia popolare
Area del Cavaliere nord
Area di Old Bakery street
Area su Republic street
Concorso per la chiesa del 2000 a Roma, Tor tre teste – Peter Eisenman
di Giuseppe Strappa
in «Corriere della Sera» del 20.09.2006
Alla metà degli anni Venti esce, a Londra, un curioso libretto: Good and bed manners in architecture. Il suo autore, Trystan Edwards, vi sostiene che il contegno, i comportamenti tra gli uomini come tra gli edifici, rappresenti una delle forme più alte di arte visiva.
In un disegno del libro è mostrata una chiesa che emerge armoniosamente in un quartiere di edifici bassi, dai toni moderati. Poi, in un secondo schizzo, apparentemente ingenuo, la stessa chiesa è aggredita da edifici “unsociable”, animati, ciascuno, da un prepotente spirito individualistico: come in un’orchestra dove tutti suonano al massimo volume, il risultato è disastroso. L’architettura della città, conclude l’autore, è l’arte della cooperazione, non della competizione.
Edwards, che ingenuo non è, conosce bene la natura economica dei cambiamenti estetici che critica, cosa esprima la rissa architettonica della città capitalista. Sostiene la necessità, tuttavia, di mettere un freno all’incontrollato liberismo formale attraverso l’ urbanity, il rispetto reciproco tra costruzioni.
Forse anche nella Roma contemporanea il suo richiamo all’urbanità non sarebbe inutile.
In via Oderisi da Gubbio, ad esempio, di fronte alla chiesa di Gesù Divino Lavoratore, capolavoro romano di Raffaello Fagnoni, è in costruzione un nuovo edificio. La sua facciata si annuncia come uno strillo, un contorcimento obliquo rivestito, con gratuita estrosità, in vetro a specchio e travertino.
Si dirà che questa strada non è via Giulia. Ma quale furore artistico, o messaggio rivoluzionario ha spinto ad interrompere la coralità di una quinta urbana, a suo modo, continua e unitaria?
Si potrebbero citare altri casi simili: tasselli “minori” che, isolati, sembrano trascurabili e la cui sequenza va componendo, invece, un mosaico babelico.
Che non risparmia nemmeno l’architettura esistente, come l’edificio in via dei Monti della Farnesina costruito da Del Debbio e appena “recuperato”, con indubbio estro creativo, sostituendo il vetrocemento originale con un materiale che sembra uscito da un catalogo d’arredamenti per bagno. Non è, questa, un’offesa rivolta a ciascun passante?
Certo, ogni professionista rivendica oggi la propria libertà estetica, il diritto alla propria quota di lacerazioni. Ma poiché l’architettura è un’arte che impone la propria presenza, è poi tanto bizzarro il richiamo di Edwards ad usare, almeno un po’ di good manners?
di Giuseppe Strappa
Ostia, la città interrotta, in «La Repubblica» del 20 maggio 1994
Ostia vista dal mare. L’orizzonte è occupato quasi per intero dalle sagome di casermoni senza volto, figli del boom economico degli anni ’60. Edifici generati senza amore, condannati ad affollarsi confusamente lungo una spiaggia un tempo bellissima. La metropoli non ha rovesciato su queste coste solo i liquami che hanno avvelenato il mare; ha vomitato qui anche milioni di metri cubi di cemento che hanno trasformato una delle città balneari più singolari d’Europa in una periferia desolata .
Al centro della massa informe, appena sopra la linea d’acqua , si scorgono tuttavia le tracce di un’edilizia dignitosa raccolta intorno alla sagoma della chiesa Regina Pacis , ultimi resti della stagione che vide Ostia crocevia di un originale percorso verso l’architettura moderna interrotto dal cinismo di chi ha saccheggiato per decenni queste coste.
Volgendo lo sguardo un po’ a nord , dove l’edilizia più recente e volgare domina incontrastata, emergono dal caos edilizio del lungomare Toscanini , inaspettate come un’apparizione , le sagome nettissime e tutte uguali dei dormitori della colonia Vittorio Emanuele III. Volumi semplici come giochi o disegni infantili, architettura ridotta alla sua essenza: le pareti nude increspate da rari ma meticolosi dettagli, le finestre regolarissime, il semplice tetto a due falde, i comignoli.
L’ elementare purezza dei volumi rimanda ad immagini consuete e lontane, alla pacata allegria di quelle costruzioni balneari tra le due guerre ,un po’ nude ma ravvivate da tende a grandi strisce bicolori , alle file di cabine , a sereni viali di palme. Eppure quella della colonia non è un’architettura di “intrattenimento”: troppo rigida e forse un po’ sgradevole, apparentemente priva di slanci, quest’architettura rinuncia ad ogni espediente accattivante a favore della delicata, enigmatica poesia dell’elenco. Come in un quadro di Carrà , il suo “realismo magico” deriva dalla laconica parsimonia dei mezzi espressivi impiegati.
La progettazione di questo “ospizio marino” del 1927 deve essere stato un arduo esercizio di rigore per il suo architetto Vincenzo Fasolo, virtuoso del disegno (i suoi allievi ricordano ancora ammirati le complesse piante disegnate alla lavagna con ambedue le mani) e acrobatico interprete degli stili storici la cui versatilità è testimoniata ,tra l’altro,dal neobarocco liceo Mamiani in viale delle Milizie e dal pastiche medievaleggiante della caserma dei Vigili del Fuoco in via Marmorata .
Della colonia Vittorio Emanuele III sono ora, finalmente,iniziati i restauri delle opere esterne, in attesa dei molti milardi necessari a completare anche l’interno. Non è dato sapere quando nè, soprattutto, come finiranno questi lavori. L’architetto Luigi Ventura Piselli , che cura la difficile impresa con la collaborazione dell’architetto Valerio Andronico, assicura che verranno rispettati integralmente sia i prospetti dell’opera che le strutture interne, compatibilmente con le nuove funzioni che il grande complesso dovrà ospitare :un centro anziani,case-famiglia con alloggi indipendenti per giovani disadattati, mensa ,centro culturale , biblioteca e ,all’esterno ,orti per anziani e campi sportivi. Tuttavia anche qui compariranno quelle terribili scale esterne in metallo imposte dai Vigili del Fuoco che hanno già deturpato molti edifici pubblici romani .Si spera che sia la sola violenza che questo insolito edificio , abbandonato dalla storiografia di architettura ,dovrà subire.
La vicenda di questa costruzione è un esempio di come nell’avventura del patrimonio edilizio di Ostia moderna gli edifici migliori escano regolarmente malconci . Destinato al recupero di bambini affezioni polmonari , l’edificio fu progressivamente abbandonato col regredire della frequenza del male fino a quando si decise di destinarlo ad altro uso. I geometri del Comune incaricati dei rilievi che nel 1983 fecero irruzione nell’universo segregato delle poche, operose suorine rimaste raccontano la sorpresa di aver trovato gli interni dell’edificio fermi agli anni Trenta, intatti negli arredi originali, con i tavoli in massello lucidati con cura e i bagni ben costruiti in perfetto stato di conservazione . Solo all’esterno le ingiurie inevitabili della salsedine avevano provocato qualche ferita. Poi, nel breve intervallo che ha preceduto i lavori di ristrutturazione, lo sfascio. Occupato e devastato dai baraccati, territorio di conquista frammentato in possedimenti autonomi occupati da USL, Vigili Urbani , scuole , l’ex colonia è giunta in stato di pietoso degrado ai lavori di restauro.
Ma non solo sul lungomare si stanno eseguendo lavori. A piazza della Posta si restaurano (anche qui con molta lentezza) quella “ricevitoria postelegrafonica” inaugurata nel 1934 che rappresenta forse il gioiello di Ostia Moderna. Nella tranquilla scacchiera della cittadina l’immagine folgorante di un edificio dalle forme nuovissime arenato sul litorale riportava le suggestioni del nuovo mondo della velocità e delle comunicazioni nelle tranquille sabbie del Lido .Le cure filologiche che l’arch. Marina Del Bufalo dedica all’edificio, sono indicative sia della nuova sensibilità per i problemi del patrimonio storico da parte del Ministero delle Poste , sia della nuova attenzione per il suo autore Angiolo Mazzoni, architetto-funzionario delle Ferrovie di Stato e protagonista di primo piano dell’effimera ventata dell’architettura futurista ,del quale studi recenti vanno riscoprendo il valore .
E tuttavia , a fronte di qualche timido segnale che fa sperare in una riscoperta del fascino del Lido di Roma, in una considerazione meno distratta della sua vocazione tradita, stanno i tanti guasti irreparabili dell’edilizia recente.
Triste destino di Ostia decaduta, degradata a periferia e abbandonata alla sua sorte di frammento segregato di città (nessun collegamento moderno integra ancora la primitiva linea ferroviaria , alleggerendo il fiume di auto riversato dalla Colombo e dalla via del Mare).
E mentre non si è ritenuto di costruire la chiesa di S. Maria di Bonaria secondo il disegno solare di Berarducci, Monaco e Rinaldi, opera che poteva costituire, nel panorama della nuova Ostia, una testimonianza di ottimo livello della cultura architettonica alla fine degli anni ’60, si è realizzato di recente , verso Castelfusano , il verde sombrero che copre il nuovo, “Palazzetto delle arti marziali” . Infelice testimone dell’imbarbarimento di un costume edilizio che ha sostituito al raffinato razionalismo delle case di Libera e al brio delle ricerche di Marchi lo stile neocaprese e il moresco di cartapesta delle ville dove fumano instancabili barbecue o il kitsch senza volto delle discoteche nei paradisi delle nuove maiemi.
La presentazione
L’architettura religiosa in un libro di Strappa
in “Corriere della Sera” del 26.05.2009
Il tema dell’architettura religiosa è tornato di grande attualità. Anche a Roma si costruiscono nuove chiese, veri poli urbani in quartieri spesso degradati che pongono, anche, il problema di cosa significhi un edificio per il culto nel mondo contemporaneo. Giuseppe Strappa, architetto e ordinario di progettazione, tenta di dare una risposta con un libro, «Edilizia per il culto» (Utet, Torino) che ha la forma e l’ambizione di un vero trattato. Tesi di fondo è che ogni chiesa, sinagoga o moschea costituisce anche un «organismo » del quale occorre comprendere, soprattutto, il processo formativo. In un periodo in cui l’architetto, anche nei temi religiosi, è ossessiona¬to dalle mode, Strappa sostiene che si è originali solo riscoprendo l’origine delle cose, le radici dalle quali le forme hanno inizio. L’opera verrà presentata oggi a Valle Giulia da un esperto del tema come Paolo Portoghesi. Il grande storico e architetto romano non è, infatti, solo autore di importanti architetture religiose, dalla Chiesa della Sacra Famiglia a Salerno alla Moschea di Roma, ma si è posto, tra i primi, il problema della crisi del progetto contemporaneo, dello smarrimento dell’uomo di fronte a un mondo costruito che non sa più leggere e, quindi, trasformare con coerenza.
Alle 18, Aula Magna della Facoltà di Architettura «Valle Giulia», via Gram¬sci 53
Il libro viene presentato oggi pomeriggio alle 16 a Valle Giulia da un esperto del tema come Paolo Portoghesi, in primo piano nella foto qui sopra insieme a Giuseppe Strappa