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The elementary part of the city

Renato Capozzi – The elementary part of the city

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ABSTRACT – The paper reflects on some methodological and operational experiences carried out in the last century and also on the notion of “elementary part” as a method of construction of the residence in the contemporary city in relationship to the nature. The discourse, moving from the Enlightenment’s antecedents as the Squares and Crescents or through the analysis of some projects by the masters of the Modern Movement – also as a critical review of some of his initial assumptions – tries to classify the practice of construction of the city that renounces to the compact city system made by urban blocks, streets, squares and gardens and offers complex neighbour units with large extension and services and free portions of natural soil inside. This hypothesis, that opposing the nineteenth century city, is manifested in projects and constructions that significantly recover the principles of the classical city in a renewed relationship with nature / landscape and with the dialectics between residence and civil centres. An idea of “open and polycentric” city able to contrast the spread of the nebulized city, but without proposing a mere densification but identifying certain repeatable units able to absorb the fragments of the sprawl of the contemporary post-metropolis. Furthermore, this hypothesis can be applied also in some areas of the consolidated city to reintroduce, in its core, selected portions of nature.
The proposed classification is divided into the following sections:
– The classical cities as polycentric city;
– The compact city as unique or whole artifact;
– The city of the Enlightenment: from the square to the courtyard blocks;
– The city of the Modern Movement: utopias, principles and methods;
– The new dimension: quartal, quadras, urban sectors;
– Examples by the masters: Le Corbusier/Hilberseimer/Mies/May;
– The neighbourhood as a self-sufficient part: Libera/Cosenza;
– The idea of the city as set of defined parts: Rossi/Aymonino;
– The idea of polycentric city and elementary part: Monestiroli;
– Development prospects in the periphery and in the consolidated city: Bisogni.
The suggestion structure is defined by investigation of the logical urban composition and by paradigmatic examples taken as reference.       CLICK HERE    La parte elementare della città_REV

NOTES ON BASE BUILDING

"PROFFERLO HOUSE" IN ROME

NOTES ON BASE BUILDING

G.Strappa

The most successful examples of a congruent and proportionate overlap of the modern city with the ancient one is in large part due to the “recasting process” of the existing urban fabric. The act of recasting is not the simple union of elements, it is a plastic modification, a collaboration that implies a structural mutation: the merging and gathering of the individual units into a single whole, into a new unity of a higher degree. The Renaissance palace is, when it derives directly from the fabric, a critical recasting, made with the decisive contribution of the architect who operates the aesthetic synthesis at the end of a “necessary” process. To fully understand its meaning it is essential to mention, at least, the matter of this recast, which, in many areas and especially in Italy, consists of single-family houses.  A particularly significant example, from this point of view, is the form of the dwelling house in the Roman area, whose roots date back to the types used from the XI century, in an environment that, due to the low population density, could be considered in large part semi-rural (26).

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IL PROCESSO DI RIFUSIONE E LA FORMAZIONE DELLA CASA IN LINEA

di Giuseppe Strappa

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Due case a schiera rifuse in via del Babuino a Roma

Nel corso del processo di trasformazione del tessuto si formano le abitazioni plurifamiliari, dove due o più famiglie occupano una costruzione servita da un unico vano scale,  a partire dalla trasformazione di unità unifamiliari esistenti, spesso a schiera.
Le prime forme di plurifamiliarizzazione avvengono per semplice utilizzo del costruito esistente, in condizioni di emergenza dovute alla rapida crescita demografica, dove ogni singolo piano viene occupato da una sola famiglia. E’ evidente il disagio, impensabile ai nostri giorni, di una distribuzione che non permetteva l’isolamento del singolo nucleo familiare.
Presto si sviluppano, tuttavia, nuovi tipi edilizi basati sulla formazione di un vano specializzato adibito ad ospitare la scala comune (vano scala) che distribuisce un appartamento bicellulare per piano. Il vano scale si pone, in questo caso, parallelamente al percorso esteno, addossato al muro centrale “di spina”. E’ evidente come anche questa soluzione presenti un basso rendimento, con una diminuzione della superficie di ciascuna unità abitativa, che risulta meno che dimezzata rispetto allo standard quadricellulare raggiunto dalla casa a schiera matura.
Ma la forma di trasformazione determinante nella formazione della città moderna è quella basata sull’unione di due o più elementi di schiera che vengono uniti (rifuse) a costituire unità di scala superiore.
Se nei tipi più maturi il vano scale occupa parte (o per intero) un vano posteriore delle abitazioni originali, non è raro che, soprattutto nella fase iniziale delle trasformazioni, questo si ponga nell’area di pertinenza, come avviene con grande frequenza in area romana.

E’ evidente come l’innovazione, la formazione di un vano scala comune di distribuzione agli alloggi, contenga il germe di un profondo cambiamento nel tessuto edilizio permettendo che più abitazioni occupino un solo piano.
L’esperienza acquisita attraverso rifusioni operate direttamente sul costruito viene poi riutilizzata anche negli edifici costruiti ex novo attraverso l’acquisizione di nuovi tipi edilizi che verrano impiegati anche quando, a partire soprattutto dal XIX secolo, l’architetto si interesserà al progetto di grandi interventi di edilizia di base (1). La prima e più semplice forma di unione di abitazioni à costituita dalla rifusione dalla semplice acquisizione di superficie abitabile ottenuta annettendo i vani di un’abitazione adiacente.

Questa forma di aggregazione derivata dalla rifusione di elementi di schiera  costituisce la casa in linea, che da origine a tessuti di case in linea, spesso sul perimetro dell’isolato, caratterizzati dall’associazione seriale di elementi plurifamiliari (corpiscala) costituiti dal vano scala e dagli appartamenti che vi fanno distributivamente capo. Si noti, come rientrino nella definizione processuale del tipo anche abitazioni plurifamiliari costituite da un solo corposcala, considerandole case in linea non aggregate.

La nozione di casa in linea deriva dunque da un processo, dall’esperienza abitativa della casa unifamiliare. Questo legame con la consuetudine edilizia, con l’uso e la trasformazione della realtà costruita, costituisce il raccordo con l’innovazione del tipo edilizio successivo: quando la casa in linea viene intenzionalmente progettata e costruita,  si conserva ancora l’eredità della casa in linea ottenuta per rifusione. Ne sono evidente testimonianza i grandi quartieri della Roma postunitaria, criticamente progettati da architetti, dove il tipo vigente (a doppio corpo  di fabbrica strutturale) mantiene il muro di spina centrale derivato, come abbiamo visto, dalla struttura statica della casa a schiera romana. Studi recenti hanno dimostrato

come esistessero, nell’edificazione dei quartieri di edilizia economica tra le due guerre, soprattutto negli anni ’20, tipi in linea consolidati che gli uffici tecnici impiegavano estesamente condizionando anche l’intervento degli architetti più noti. Si veda ad esempio l’attività dell’ICP romano, nel cui sviluppo è ancora leggibile  la nozione di trasformazione processuale dove l’apporto corale dei tecnici e della tradizione costruttiva ha un ruolo più rilevante dell’innovazione criticamente apportata dai singoli progettisti.

La rifusione  delle abitazioni in aggregati plurifamiliari è immediatamente leggibile, anche attraverso la permanenza delle dimensioni delle cellule elementari che determinano la partizione delle facciate e  dimensione dei corpi di fabbrica (2),  esprimendo la vocazione dei tipi più semplici alla convivenza organica, alla formazione di unità a scala maggiore. Vocazione che, progressivamente acquisita e intenzionalizzata, diviene linguaggio cosciente, in un passaggio assimilabile alla transizione dalla lingua solo parlata alla lingua scritta,  permettendo, anche, di acquisire intenzionalmente caratteri imitativi dell’edilizia specialistica.

Come per la linguistica, inoltre, anche in architettura l’osservazione del linguaggio spontaneo originato dalle rifusioni fa nascere l’ovvia constatazione che esso sia originato dalla tendenza naturale dell’uomo ad associarsi in comunità, a comunicare; e tuttavia, come per la linguistica, questo dato, pur evidentissimo, non aiuta che in piccola parte a ricostruire il processo di trasformazione degli edifici e la sua strettissima relazione con le mutazioni processuali del tipo: la ricostruzione deve essere necessariamente  eseguita in modo unitario partendo non solo dalla leggibilità esterna, ma da tutte le componenti che determinano le forme più semplici e spontanee di aggregazione, individuando  tipi matrice,  tipi base e varianti, tessuti  ecc.

NOTE

1.    Si vedano in proposito le osservazioni contenute in : Gianfranco Caniggia, Permanenze e mutazioni nel tipo edilizio e nei tessuti di Roma (1880-1930), in «Tradizione e innovazione nell’architettura di Roma capitale ; 1870-1930)» a  cura di Giuseppe Strappa, Roma 1989.

2.    Corpo di fabbrica é  la porzione di spazio compresa tra due assi longitudinali individuanti la struttura statica a pilastri o murature (corpo di fabbrica strutturale) o le pareti principali che determinano la distribuzione, spesso includenti (ed a volte coincidenti con ) gli elementi statici (corpo di fabbrica distributivo).

Bibliografia specifica sulla casa in linea a Roma:

L. Bascià, P.Carlotti, G.L.Maffei, La casa romana, Firenze 2000, pag. 201 e segg.

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ESEMPI DI AREE NORDEUROPEE

 

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Oud, case in linea a Spangen

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Sharoun, case in linea a Siemensstadt



LABORATORIO LPA – INCONTRO CON ROBERTO MAESTRO SUL PROGETTO PER IL CASILINO 23


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Incontro del 18 1 2010 a Roma sul progetto del Casilino 23
Relazione di Roberto Maestro

Ho lavorato con Ludovico Quaroni per un paio di anni dopo il mio ritorno dall’Africa, all’incirca tra il 1963 e il 1965. Avevamo uno studio in via Nizza dove andavano e venivano vari architetti: alcuni come titolari, altri come collaboratori, altri ancora come semplici amici di passaggio, Un periodo molto stimolante e per me formativo.
Quaroni era il contrario di un capo autoritario: era una persona molto intelligente, ma insicura. Aveva in uggia chi lo definiva “maestro del dubbio” perché riteneva che, se era vero che lui aveva dei dubbi, non era vero che li volesse comunicare agli altri. Aveva un’idea della progettazione architettonica come un lavoro di gruppo, dove ciascuno affidato un ruolo diverso. Idea che gli derivava da una sua esperienza nel cinema, dove ognuno fa la sua parte senza sovrapporsi guidato da un regista e secondo una traccia o un soggetto. Lui per certi aspetti si sarebbe Immaginato come soggettista (anziché che regista). Un soggettista pronto a mettersi in discussione e a lasciare spazio alle idee degli altri, anche se più giovani e inesperti di lui. L’ideale per un giovane architetto poco più che trentenne molto presuntuoso, come ero io e con molta voglia di misurarsi sui grandi temi dell’architettura e dell’urbanistica.

Al tempo del progetto del Casilino 23 sperimentammo una sorta di “brain storming” progettuale, Una tecnica in uso negli studi pubblicitari, consistente nel confronto diretto (scontro) tra idee diverse e quanto più contrastanti tra loro, senza seguire una linea precisa.
Avevamo allora discusso e deciso una qualche linea comune? Io ricordo le cose delle quali si parlava quando si parlava di Roma e della sua periferia, A me la periferia di Roma piaceva, invece Quaroni la trovava anonima retorica e, tolto pochi rari esempi, pretenziosa è volgare. Sosteneva che Firenze aveva conservato il suo carattere anche nella periferia, Roma invece no. Il disegno dei quartieri era inesistente: un insieme di architetture dissociate che non riuscivano a creare un luogo riconoscibile.

È in quel clima di critica alla città contemporanea, che nacque l’idea di un quartiere che costituisse fino dal suo disegno di insieme, un segno riconoscibile, di appartenenza a questa città, Si veda a questo proposito il saggio “Com’era bella la città,come è brutta la città “ pubblicato sulla rivista Spazio e Società di De Carlo.
Facemmo dei disegni basati su forme ellittiche e circolari, che non ci convinsero perché le ritenemmo statiche, chiuse in se stesse, Cercavamo forme urbane che proponessero un disegno estensibile alle zone confinanti, una forma dinamica aperta ad aggiunte e integrazioni. Io avevo vinto il mio primo concorso di progettazione con un motto significativo: “antipaese”.
In quegli anni lavoravo contemporaneamente al progetto del terminal per Venezia con un progetto che proponeva “l’ultima parete del canale grande” una parete che si apriva sulla laguna con un ventaglio di moli,
Tra Roma, Firenze, Venezia, Tunisi era più il tempo che si passava in treno che al tavolo da disegno. È quando siamo lontani da una città che si riesce a immaginarla e a pensarla in modo sintetico (l’ellisse di una piazza, la rotazione delle gradinate del Colosseo…).

È così che nacque l’idea del quartiere Casilino 23. Un disegno che ricordasse un grande rudere fuori scala, come lo sono certe parti della Roma antica che emergono dalla trama delle palazzine. Oggi il progetto lo leggo così, ma quando si scelse quel disegno non pensavamo certo di ispirarsi alla Roma dei Cesari. Cercavamo solo un segno forte “moderno” che fosse riconoscibile anche dall’aereo (Il satellite venne dopo), Un disegno che giocasse sull’effetto prospettico falsato dovuto alla disposizione a ventaglio di corpi di fabbrica ad altezza variabile. L’importante era non creare ripetizione.
Quaroni sosteneva che la ripetizione serve solo al costruttore per ridurre i costi, mentre la gente vuole una casa che sia diversa, riconoscibile. Vuol abitare in un quartiere diverso dagli altri, da amare e da esserne orgogliosi, come lo è per Trastevere ,i Parioli o San Frediano a Firenze.
Sotto questo aspetto possiamo dire che il Casilino 13 si può ritenere un successo: la gente che ci abita, ci si riconosce. Non sempre capita anche quando gli architetti sono bravi (vedi lo “Zen” di Palermo).

Il discorso potrebbe chiudersi qui. Il nostro è  soprattutto un lavoro al servizio della gente. Ho visitato ieri questo quartiere dopo tanti anni, un progetto nel quale abbiamo realizzato solo il disegno urbanistico, ma che è stato realizzato con pochissime varianti, I progettisti dell’architettonico che hanno seguito le nostre indicazioni in modo intelligente (condividendone gli obiettivi) sono, secondo me quelli che hanno lavorato meglio, Ma il progetto urbanistico era sufficientemente forte per reggere anche variazioni nell’architettura dei singoli fabbricati.
Io preferisco, naturalmente, quel gruppo di case rivestite in cortina di mattoni, contenute in una geometria solida semplice, senza tanti giochi di balconi sporgenti, e con il tetto che segue  un’unica linea di pendenza dall’altezza di un piano a quella massima di otto piani. Averne costruiti di più alti mi sembra sia stato uno sbaglio.

Ritengo comunque che la città sia un organismo vivo difficile da ingabbiare in un disegno definito una volta per tutte. Le variazioni apportate derivano da scelte economiche forse inevitabili. Ad esempio il centro commerciale, posto nel fulcro del “Ventaglio” è stato orientato con il fronte verso il quartiere esterno, molto più popoloso. Così l’attività commerciale interna al quartiere non ha retto la concorrenza. Si poteva evitare forse, che il quartiere perdesse quella vivacità determinata dalla presenza di attività commerciali integrate alla struttura residenziale.
Per il resto il quartiere si presenta bene. È tenuto pulito, la gente si comporta in modo educato, curando i giardini e gli spazi comuni. Io dopo aver traversato una periferia romana fortemente degradata, ne sono rimasto  piacevolmente sorpreso e ammirato. Ma questo è merito dei suoi abitanti che si sono organizzati in difesa del proprio quartiere e di conseguenza della propria città. A questi vanno i miei complimenti insieme agli auguri di successo per gl’ impegni futuri.

Roberto Maestro
Roma 18 1 2010

 

 

 

Plastici dei progetti iniziali


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Una delle alternative al progetto definitivo


Plastico di studio della versione definitiva

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